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Chavez festeggia all’Avana il lieto fine della crisi andina

Accettate le scuse della Colombia Fidel Castro: sconfitta degli Usa

La crisi delle Ande, che pochi giorni fa sembrava dover sfociare addirittura in un conflitto armato, finisce con un poco convincente embrassons nous fra i tre protagonisti, con Fidel Castro che canta vittoria per conto del suo pupillo venezuelano Hugo Chavez e lui che vola subito all’Avana a relazionare.
Sul palco di Santo Domingo, dove si svolgeva la riunione dei Paesi del Gruppo di Rio, è stato in realtà il presidente colombiano Alvaro Uribe a disinnescare la bomba prima che esplodesse. Accusato dagli ecuadoriani e dai venezuelani di atteggiamenti guerrafondai per aver fatto inseguire e uccidere dai suoi soldati oltre i confini dell’Ecuador il numero due della guerriglia marxista colombiana delle Farc, e per questo messo sotto pressione con truppe dei due Paesi alla frontiera, Uribe ha messo in pratica la ricetta suggerita da Condoleezza Rice: risolvere la crisi per via diplomatica, lasciando fuori l’alleato di Washington.
Uribe ha quindi porto scuse ufficiali all’Ecuador, il cui presidente Rafael Correa (che come Chavez, il boliviano Morales e il nicaraguense Ortega è su posizioni bellicosamente antiamericane) aveva nei giorni scorsi fatto fuoco e fiamme parlando di «patria aggredita» e lasciando intendere che l’onore nazionale avrebbe potuto essere lavato col sangue; il presidente colombiano non si è però trattenuto da un’acuminata frecciata verso il collega, leggendo in pubblico alcuni passi di una lettera sequestrata al leader delle Farc ucciso sabato scorso, Raul Reyes, nella quale si affermava che le milizie avevano finanziato la campagna elettorale di Correa. Questi ha reagito rabbiosamente, accusando Uribe di «avere le mani sporche di sangue» e chiedendo allora che alla frontiera tra Ecuador e Colombia venisse schierata una forza di pace internazionale.
Per fortuna sono poi subentrati la calma e il buon senso. Accettate le scuse di Bogotà, si è convenuto su un impegno al reciproco rispetto dei confini e - come volevano Uribe e certamente anche Bush - a contrastare il terrorismo. Stop dunque, almeno a parole, ai “santuari” delle Farc oltre le frontiere della Colombia. E stop anche all’idea della forza internazionale. Alla fine, per la gioia dei fotografi, strette di mano e abbracci tra Chavez, Uribe e Correa, che nei giorni caldi della crisi non si erano mai incontrati.
Corroborato dalla conclusione di una crisi che gli ha permesso come desiderava di accrescere il suo ruolo nella regione, Chavez è salito su un aereo ed è volato all’Avana, dove è stato ricevuto con tutti gli onori.

Per l’occasione il vecchio Fidel Castro ha rispolverato la penna e ha scritto sul giornale comunista Granma un articolo di analisi in cui afferma che «l’unico a uscire sconfitto dalla fine di questa crisi è l’imperialismo degli Stati Uniti». Chavez aveva un asso nella manica: si è portato a Cuba la madre di Ingrid Betancourt, l’ex candidata presidenziale venezuelana prigioniera da sei anni delle Farc nella giungla colombiana.

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