Gianni Biondillo, tre aggettivi per descrivere la Milano di oggi e quella di trent'anni fa.
«Sono incapace di rispondere in tre parole: ci ho scritto un libro».
Dove porta gli amici di passaggio in città?
«Nei luoghi canonici come Sant'Ambrogio, il Castello e il Duomo, da visitare in modo anomalo, salendo sulle guglie. Se sono architetti, nei cantieri aperti: finalmente uno stormo di gru meccaniche si è posato su Milano dopo 15 anni di assenza».
Descriva la sua giornata-tipo.
«Sveglia alle 7, accompagno le mie due figlie a scuola. Se non lavoro in cantiere, faccio colazione al bar e leggo il giornale, sbrigo la corrispondenza, controllo siti Internet e vado in libreria. Di pomeriggio scrivo».
Quale quartiere rappresenta meglio l'anima di Milano?
«Nessuno. Nonostante si consideri Milano una metropoli centripeta, ha una natura policentrica. Nemmeno le periferie sono tutte uguali: Gratosoglio non è Quarto Oggiaro. Di certo Milano non è Brera, ormai poco più che un divertimentificio, né il quadrilatero della moda».
Se potesse abbattere un monumento, quale sceglierebbe?
«La città è come un romanzo fatto di pagine prosaiche e pagine poetiche: cè bisogno di entrambe perché la storia regga. Più che un monumento, raderei a zero la 'villettopoli brianzola che ha sprecato con colata di brutti villini uno splendido territorio».
Se potesse vivere in un'altra città, dove andrebbe?
«In un'altra grande città: Roma».
Vivere a Milano ha ancora un senso o è meglio scappare?
«Milano è la città più all'avanguardia della nazione, ma la vorrei meno barbarica e Suvvizzata, meno cattiva e happy hour. Se si alzano gli occhi, si scorge una metropoli bellissima che ha dimenticato di esserlo».
Riferendosi ai tanti cantieri aperti si parla di «Rinascimento di Milano»: è d'accordo?
«Senza polemizzare, non svaluterei così la parola Rinascimento».
La città che sale ha un suo valore estetico o è solo un insieme di brutti grattacieli?
«Non sono concettualmente contrario al grattacielo in sé, ma non apprezzo il progetto City Life per la densità edilizia concepita in un'area già così urbanizzata».
Che cosa rappresenta il vero degrado di Milano?
«Degrado per me significa favorire l'interesse di pochi su quello di molti, moltiplicare i parcheggi sotterranei quando c'è una rete di trasporto pubblico insufficiente».
Milano è ancora una città aperta o si sta chiudendo in se stessa?
«È chiusa a riccio».
Chi è oggi il milanese?
«La natura prometeica del milanese gli fa mutare forma appena tenti di definirlo. Oggi il milanese è il ragazzo turco da cui ho mangiato un ottimo kebab che, con partita Iva e negozio tirato a lucido, crede nel lavoro».
Il detto che calza a pennello alla nostra città.
«Purtroppo non posso dire che Milano ha il cuore in mano...».
Se potesse scegliere il nuovo assessore alla Cultura, chi proporrebbe?
«Tommaso Labranca».
Ha mai pensato a un suo progetto culturale per la città?
«E chi me lo finanzierebbe?».
Qual è l'evento culturale milanese che segue sempre?
«La rassegna Biblioteca in giardino: quest'anno la perderò perché pare non ci siano i fondi per realizzarla».
Di che cosa ha davvero bisogno la nostra città?
«Di una massiccia dose di fiducia collettiva».
Come cambierà Milano nei prossimi 7 anni, in vista dell'Expo 2015?
«Cambierà inevitabilmente: è già una notizia».
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