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CHE IMBROGLIO IL PARTITO DEGLI ONESTI

Conviene diffidare di chi propone l’onestà come sua unica offerta politica. Non certo perché l’onestà sia un optional. E non certo per quella antica verità che ci dovrebbe ricordare come la strada per l’inferno sia lastricata di buone e oneste intenzioni. Rubare anche solo un euro e per di più sotto la stella del bene collettivo, è inaccettabile. Il punto è un altro. (...)
(...) Non si può negare che l’attuale maggioranza sia inciampata in episodi censurabili. Così come un certo tasso di disonestà sembra emergere in diversi settori dell’amministrazione pubblica, indipendentemente dal colore politico. Ma se l’onestà e la legalità da prerequisito della politica diventano strumento per la battaglia all’interno di un partito o di un parlamento, sono guai.
Il governo Berlusconi senza un’opposizione parlamentare in grado di impensierirlo, ha trovato l’opposizione al suo interno. E la tentazione di quest’ultima è quella di giocare la partita della leadership proprio sul piano della legalità. È una follia. Non è certo folle cercare di essere alternativi a Berlusconi: ci mancherebbe altro. È folle piuttosto pensare di costruire un’alternativa al premier su queste basi. Ieri Di Pietro che annusa bene l’aria ha proposto: «É giunta l’ora di dividere il campo in due: da un lato il partito dell’illegalità a struttura e vertice piduista, dall’altro il partito della legalità. Il mio è un invito a Bersani e Fini». Se l’onestà passa da prerequisito della politica a strumento di competizione elettorale, si dà campo libero a Di Pietro e all’antipolitica. In molti si chiedono se siamo tornati all’epoca di Tangentopoli: con arresti, galera, manette, tribunali, pm e via cantando. In effetti ci sono delle costanti, a parte Di Pietro. All’epoca un avviso di garanzia rovinava una carriera: la condanna diventa un dettaglio. Il più si otteneva con l’annuncio. Oggi si è passati dall’avviso (che non sembra più andare di moda, non viene più consegnato a nessuno) alle intercettazioni. Il meccanismo è identico: chiunque si becchi una telefonata registrata è fritto. Il contesto, i toni, gli interlocutori svolgono il ruolo di un avviso di garanzia all’ennesima potenza. Chiunque abbia parlato con il geometra Lombardi, il millantatore, persino il suo fruttivendolo, è infettato.
Se si volesse continuare con le analogie si potrebbe ricordare come Berlusconi, ieri come oggi, abbia provato e non sia riuscito a fermare l’onda con una diga legislativa. All’epoca il Decreto Biondi, mica una rivoluzione, fu gettato a mare con ignominia. Oggi la stessa fine rischia di fare la legge sulle intercettazioni (con tutti i suoi difetti). Quando il meccanismo parte, la politica tende a dividersi. E oggi come ieri, questo golpetto giustizialista eccita gli animi e le rivendicazioni. All’epoca del pentapartito i più espliciti furono i repubblicani: pensavano fino a quel momento di essere immuni. Si inventarono il partito degli onesti e furono presto infilzati e condannati. Ciò per dire come la tentazione di sfruttare le disavventure giudiziarie e soprattutto un clima di confusione colpevolista esercitino una fortissima attrazione soprattutto nei confronti di coloro che grazie alla propria marginalità presumono di essere immuni dal contagio.


Non è stato così per i repubblicani (che grandi colpe non hanno commesso) e non sarà così per coloro che oggi invece di mantenere la freddezza, si incaricano di commerciare con quelle carte segrete e giudiziarie su cui pensano di costruire grandi fortune politiche.

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