Che invidia la Francia Il voto cambia tutto senza odi né invettive

Come nel sistema americano, l'elettorato è mobile. E il doppio turno permette di aggiustare il tiro

Mentre in Italia arrivava l’ondata di caldo africa­no, a Parigi si votava: al primo turno sotto una pioggia geli­da con i termosifoni delle case acce­si. E poi con il sole i francesi hanno eletto un Parlamento socialista nel quale entrano per la prima volta i verdi. I socialisti superano il 50 per cento e già si respira il clima del­l’era Mitterrand. Tutto il governo Hollande ce l’ha fatta a pieni voti e la destra esce con le ossa rotte. Il cambio è stato globale, netto, sen­za scosse. Una democrazia che fun­ziona perché l’elettorato è mobile, libertino, capace di cambiare idea e voto. Il cambio e il ricambio sono stati totali. Via Sarkozy e via la sua mag­gioranza parlamentare, via Carlà con le sue spocchie e alterigie, e dentro la prima signora di Francia, Valérie Trierweiler che attraverso Twitter ha fatto fuori Ségolène Ro­yal, eminenza femminile sconfitta senza pietà prima nella corsa presi­denziale e poi in quella per la presi­denza dell’Assemblea Nazionale, che se l’è presa con i maschilisti e gli antichi rancori, mentre anche l'altra donna eminente, Ma­rine Le Pen, la pasionaria del­l’estrema de­stra, è stata sconfitta. E co­me segno dei nuovitempien­tr­ano otto depu­tati di origine africana, ma­grebina, brasi­liana e asiatica che si aggiungo­no ai deputati neri dei territo­ri d’Oltremare, la Francia dei Caraibi, Guada­lupa e Martini­que, mentre si assiste all’eca­tombe della de­stra popolare che lascia sul terreno una buona metà dei deputati dell’Ump. Hollande è il primo presidente che si presenta formalmente sca­polo con una compagna in guerra aperta con altre donne del suo par­tito, a cominciare dall’ex compa­gna del suo uomo, madre dei suoi figli. Le donne non sono però in pri­ma fila politica e occupano livelli intermedi facendosi una guerra scatenata. Le donne in Parlamen­to sono comunque molte: 107 ed è un record.
Non occorre una grande analisi di quel che è accaduto in Francia: la destra è stata bocciata e la sini­stra ha vinto conquistando l’Eli­seo, Matignon, Parlamento e la Francia quasi intera. Dunque, una larga parte dei francesi che aveva­no votato per Sarkozy, ora hanno votato per i socialisti portando in trionfo l’uomo che fa della propria faccia piuttosto banale, il simbolo della normalità.

Quel che desta invidia in noi ita­liani, è che il sistema francese fun­zionaesenzatraumi, odieterni, sen­za far scorrere il sangue e le invetti­ve.

Questo sistema somiglia a quel­lo americano, salvo il fatto che esi­ste un primo ministro che riferisce al Presidente. Un monarca e un pri­mo ministro, come ai tempi del Re Sole, duplicato che in casi complica­ti ha portato alla coabitazione di duepoliticiantagonisti. Ierisuigior­nali si dibatteva sull’opportunità di votare in Parlamento una maggio­ranza diversa da quella che ha elet­to il Presidente, per esercitare un controllo più serrato.

Iduellielettoralisonostatisempli­ci e maggioritari. Uno vince, l’altro perde, punto e fine della storia. Il doppio turno funziona bene perché permette all’elettore di riflettere e di aggiustare il tiro e gli consentirebbe anche, come capita in America, di votare il presidente di un colore e il Parlamento di un altro colore.

Mentre seguivo l’andamento dei votidallacapitalefranceseepercor­revo a piedi le grandi strade della Pa­rigi ufficiale, imperiale, statale, av­vertivo proprio in quell’architettu­ragrandiosaespessomagniloquen­te il segno della differenza fonda­mentale fra Italia e Francia. Tutto in Francia indica la presenza domi­nante dello Stato. Tutto da noi indi­ca lo sbriciolamento dello Stato per il moto centripeto che ha dislocato il potere, la spesa, lo spreco, i servizi e i disservizi nella periferia. Da noi la parola Stato è vestita di abomi­nio, in Francia lo Stato è centrale e dirige la periferia attraverso il gran­de apparato simbolico di una cen­tralità in cui tutti si riconoscono.

Oggi in Italia si torna a discutere della bontà del semipresidenziali­smo «alla francese»e del doppio tur­no.

L’esempio di queste elezioni è molto istruttivo per un tale dibatti­to: il ricambio della classe dirigente è drastico, ma è operato dal sovra­no elettore e non da leggi e norme impositive per vietare la rielezione di chi vive nella politica e per la poli­tica. La Francia, come anche gli Sta­ti Uniti, il Regno Unito e anche la Germania, praticano sistemi che comprendono l’investitura di un leader della nazione - presidente, cancelliere, primo ministro che sia - e di un Parlamento che controlli l’esecutivo mentre lo sostiene. La legge elettorale dei duelli collegio per collegio permette di allevare a cascata una quantità di leadership periferiche che impegnano anche i leader nazionali.

La Francia dell’età moderna ha avutofasirepubblicane, monarchi­checostituzionali,imperiali, dinuo­vo repubblicane tanto che si conta­no ben cinque diverse Repubbli­che. Ma in ciascuna di queste forme digovernodeterminatedaicambia­menti, dalle evoluzioni e dalle rivo­luzioni, il principio e la presenza dello Stato non sono mai state mes­se in discussione. Secondo la leg­genda e qualcosa di più della leg­genda, fin dai tempi di Robespierre, ma anche ai tempi di Charles de Gaulle, lo Stato fa segretamente as­sassinare i suoi nemici. Soltanto in Francia poteva essere ambientato un film come Nikita di Luc Besson, in cui una ragazza drogata e assassi­na viene prelevata dai servizi segre­ti, riprogrammata e messa in cam­po come killer di Stato. Quanto a De Gaulle, quando si trovò di fronte la ribellione aperta dei militari nel­l’Oas, dette ordine ai suoi «barbou­zes » di farli fuori ad uno ad uno. Si potrebbe immaginare una sce­neggiatura in cui la Fran­cia, intesa come Stato unitario e geloso della sua unità, affronta la mafia con lo stesso si­stema e la spazza via senza pensarci due volte.

E ancora: trovandomi sul territori francese vede­vo la presenza dell’industria france­se,dei suoi aerei, delle sue automo­bili, della sua energia nucleare che dispensa elettricità a costo così bas­so da permettere di riscaldare le ca­se attaccando la spina. Da noi non esiste più una grande industria pri­vata né di Stato, lo Stato è spolpato e dislocato in mille periferie, la famo­sa piccola e media impresa è in ap­nea e abbiamo un sistema elettora­le e politico vecchio come un baule insoffitta.

Certo, sarebbepueriledi­re soltanto: copiamo la Francia. Ma certo è il caso di osservare con occhi e mente limpida quel che succede in quel Paese e con quali vantaggi a noi ignoti. 

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