"Chi non salta Berlusconi è". La festa giustizialista dei finiani

Bocchino suona la vuvuzela, Ronchi abbraccia tutti, Tremaglia viene avvolto nelle bandiere. E il popolo Fli incorona perfino l’inviato del "Fatto" di Travaglio

"Chi non salta Berlusconi è". La festa giustizialista dei finiani

nostro inviato a Mirabello (Ferrara)

Il paese è piccolo piccolo, la piazzetta è gremita, i colonnelli si rubano il palco. Sfilano davanti al microfono uno a uno, i neobig, e si prendono la loro razione di applausi. Il ministro Andrea Ronchi sale e scende dalla postazione, abbraccia tutti e a tutti sorride: «È una grande giornata, sta andando tutto bene, tutto fila a meraviglia». Col pollice sguainato promette a tutti ottimismo. E Chiara Moroni, da sempre socialista, è coccolata da tutti e tutti coccola. «Questa è una piazza vera», esclama prima di ricevere l’applauso e l’onore di una citazione da parte di Fini che ne lucida l’icona perché «è qui con noi, anche se proviene da un'altra storia». La Moroni è una piccola star, quasi come Granata che se ne sta beato in seconda fila, con gli occhialoni scuri, stile Tulliani.

Il capo sta per parlare, la folla si scalda nell’attesa. «Chi non salta Berlusconi è, chi non salta Berlusconi è…». Risate. Pacche sulle spalle. Ancora sorrisi e dita a «V», in segno di vittoria. Adolfo Urso, col maglioncino buttato sulle spalle come fosse ad un party, sorride compiaciuto. Saranno duemila, forse tremila persone, ma viste dalla prima fila delle Tulliani e dei Bocchino quella folla sembra sterminata.
La piazza vuole fabbricare idoli, in attesa del suo leader. E incorona perfino Luca Telese, volto de La7 e firma di punta del Fatto: «È uno di noi». Poi arriva l’ospite più atteso e l’applauso diventa da stadio. Qualcuno urla dal fondo, Bocchino si gira preoccupato, una smorfia nel viso, ma è una frazione di secondo, è solo uno che non riesce a vedere. Ora Fini ringrazia Tremaglia e lui si alza in piedi, sventola un tricolore, quasi piange. «Dobbiamo combattere la partitocrazia - ripete al Giornale - e dobbiamo valorizzare i 395 parlamentari di origine italiana sparsi nei Parlamenti di mezzo mondo». Se poi gli si fa notare che le elezioni del 2006 andarono come andarono anche per via delle circoscrizioni estere, da lui ideate, risponde con invidiabile aggressività: «E quante volte le abbiamo perse queste elezioni? E poi dovevano scrivere Tremaglia sulle schede, non Berlusconi».

Ora è avvolto nel tricolore in una nuvola di applausi. La piazza sventola gagliardetti e alza cartelli: «A Berlusconi preferisco Fini», «A Mangano preferisco Saviano». Qualcuno urla, qualcuno piange, tutti invocano il messia che dal palco prosegue il suo discorso. Consolo, l’angelo custode della Tulliani, è tutto un battere di mani: «È uno dei discorsi più grandi di Fini». Gli altri sono più o meno sulla stessa lunghezza d’onda. Dicono che il maxischermo sistemato a poche metri dalla piazzetta, in previsione di una maxiaffluenza, sia vuoto o quasi, ma non importa. Ci sono le vovuzelas e anche Bocchino si cimenta.

Poi i neobig corrono sul palco. Per l’apoteosi finale. Fini manda baci, Tremaglia viene issato di forza sul palco e riavvolto nel tricolore, Luca Barbareschi si unisce festante al gruppetto provando pure lui ad avvoltolarsi nella bandiera e anche Angela Napoli, rosso fiammeggiante, riesce a cantare l’inno guancia a guancia con Fini e Tremaglia. Un applauso non si nega a nessuno. Ne vengono distribuiti a pacchi. Pure per i militanti di Asti e per quelli del «piccolo Abruzzo». L’assessore ambrosiano Giampaolo Landi di Chiavenna reclama l’incoraggiamento per la delegazione milanese e puntuale lo riceve.

Solo Giulia Bongiorno, pure seduta nelle prime file, appare defilata. Tanto le sue soddisfazioni se le è già prese: quando dal palco Fini ha stracciato l’immagine dell’avvocato Ghedini, il suo equivalente berlusconiano, definito «dottor Stranamore». Per oggi basta e avanza.

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