Chia: «La storia è finita l’arte spiega il mondo»

«Lascio delle tracce - dice Sandro Chia - delle orme». Davanti a lui una grande parete disseminata di settanta suoi dipinti di piccolo formato chiusi in cornici corrose. Frammenti di un discorso personale e artistico, segni autobiografici, ma Chia preferisce definirli «autobiologici», perché è il «logos», la parola che gli importa. E seguendo queste tracce, passo passo, con attenzione e un po’ di inevitabile e giusta fatica, si arriva forse a capire quel «logos» nascosto.
Una mostra intensa e concentrata quella dell’artista fiorentino, curata da Maurizio Vanni, da oggi al 15 gennaio alla Triennale Bovisa con il tema «Atelier Bovisa Sandro Chia». È una rassegna particolare intesa a far entrare il visitatore proprio nella bottega, in quel luogo dove - un po’ Prometeo un po’ Mefistofele - l’artista si mette al lavoro. Sono, questi nostri giorni, collocati ormai alla fine dei tempi, secondo Sandro Chia. «La storia è finita - dichiara l’artista - almeno come sistema ideologico che avrebbe dovuto spiegare il mondo. Invece il mondo non si è lasciato spiegare. E in questa grande ma anche paurosa libertà che ci viene lasciata, ogni lavoro dell'artista è imprevedibile e speciale». Curioso che in questo spazio di libertà aperto a tutti i linguaggi, Chia rimanga saldamente ancorato alla pittura. «Ma perché alla fine dei conti la pittura rimane il sistema più economico, diretto, accurato e rigoroso per rappresentare l’inesprimibile». E l’arte concettuale? «Tautologica. Si ripiega su se stessa al livello minimo di comunicazione. Perché anche l’incomunicabile va comunicato. Noi pittori siamo la Cnn dell’inesprimibile».
Oggi, martedì 1 dicembre e martedì 12 gennaio, sempre alle 18.30, Chia parlerà, di volta in volta affiancato da designer, attori, manager, avvocati, psicologi, psichiatri, d’arte contemporanea con il pubblico. Il primo incontro, oggi, si svolgerà davanti al lavoro simbolo della mostra «Istruzioni per l’uso. La supercacciata dall'Eden» insieme a cinque grandi dipinti a olio realizzati appositamente e a cinque video di grande suggestione. Dietro questi lavori un’ipotesi ardita: dal Paradiso terrestre non è stato cacciato l’uomo ma Dio. E Dio tenta di rientrarvi perché la vita e l'arte abbiano di nuovo un senso.

Il grande esponente della Transavanguardia, reduce dal successo del Padiglione Italia alla Biennale, affida a sferzate violente di colore la sua fede nel perdurare dell’arte. Se la storia è conclusa, è l’arte la «gaia scienza» del futuro.

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