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Chiamparino: "Non sono disfattista: il governo sta facendo manovre intelligenti"

Il sindaco di Torino boccia la svolta di Veltroni: "Sbagliato rinunciare al dialogo. Una rottura nel Pd? Io non mi turberei più di tanto". E aggiunge: il centrodestra ha convinto gli italiani, è ora di prenderne atto". Attacco a D'Alema e ai suoi: "Vogliono un ritorno al passato?"
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Chiamparino: "Non sono disfattista: 
il governo sta facendo manovre intelligenti"

da Roma

Sindaco Chiamparino, lei era uno degli assenti «giustificati» all’assemblea del Partito Democratico...
(Sorride) «Non mi metta in imbarazzo. Capirà, la sera avevo la processione della Consolata...».
Ahi, ahi, non lo dica o le daranno del clericale.
«... e la mattina c’era anche un convegno con il sindaco Vincenzi. Due impegni, per così dire, istituzionali».
Nessuna motivazione polemica, dunque?
«Noo... si figuri. Anzi, sarei intervenuto volentieri perché qualcosa da dire ce l’ho».
Intanto c’è stata la grande svolta nella linea del partito.
«Questa davvero non l’ho capita! La novità consiste nell’aver convocato una manifestazione? Non mi pare materia per inchiostrare i giornali. Che l’opposizione ne convochi una, è persino normale».
Ma a lei non sfugge che si è chiusa la cosiddetta linea del «dialogo istituzionale» tra il Pd e il Pdl...
«Se fosse così non lo capirei. Non so se sia così, ma in ogni caso non sembrerebbe la cosa giusta».
Perché?
«Intendiamoci. Se Berlusconi fa una legge ad hoc sui processi, si protesta contro quella legge, punto. E non si discute. Ma se fino a ieri si è detto, come si è fatto, che bisognava portare avanti un dialogo sulle riforme nell’interesse del Paese...».
Lei crede che non si debba fare terra bruciata?
«Se si è detto che prima era giusto, adesso bisognerebbe continuare ad incalzare perché ci sia».
Pare che i dalemiani siano contenti per il cambio di linea sulle alleanze e sul partito.
(Sospira) «Non lo so... Non ho seguito questi micro-dibattiti. Anche qui dico una cosa semplice: tutti – o quasi – avevano salutato con soddisfazione, nel partito, la scelta di chiudere la storia dell’alleanza di centrosinistra. Tutti!».
Possono cambiare idea?
«Possono, per carità. Ma tutti questi cambi di rotta, personalmente non mi convincono. Non ero tra i fan sfegatati e ferramente entusiasti, se non altro per temperamento personale. Ora mi viene da dire che forse senza quella scelta, la sconfitta poteva essere peggiore».
Ai tempi delle primarie, lei era una voce critica fuori dal coro...
(Sorriso) «Quali primarie?».
Quelle che hanno eletto prima Prodi e poi Veltroni.
«Ah quelle... Ma quelle per me non erano vere primarie. Se non altro perché non si è scelto proprio un bel nulla...».
Si sono scelti i due leader.
«Ma va... Noi abbiamo costruito una legittimazione di massa alla designazione del premier e del segretario, già fatta altrove».
E secondo lei cosa si dovrebbe fare, invece?
«Posso dire una cosa che potrebbe suonare eretica?».
Prego.
«Ormai, anche oltre il Pd, va costruito un recinto ampio, che io chiamo “il campo democratico”: senza barriere o filtri di apparato».
Come?
«Quello spazio deve essere il luogo dove si raccolgono forze e uomini – per dire – che non sono né razzisti, né fascisti, né xenofobi, né terroristi... Una volta stabilite queste pregiudiziali, decidendo solo così chi ci sta e chi no, tutti quelli che concorrono al progetto devono avere la possibilità di candidarsi e di essere eletti».
C’è chi dice che così il partito non serve più a nulla.
«Questa è la democrazia. Bisogna essere coerenti, non si possono fare le cose a metà».
Dicono che così il Pd si potrebbe rompere.
«Per carità: per chi come me ha conosciuto partiti come il Pci e la Dc, già ora il Pd sembra una creatura dove diverse storie vengono solo giustapposte l’una all’altra».
Scomposte è peggio, però.
«Se anche ci fossero nuove scomposizioni, io non mi turberei più di tanto. È persino possibile che accada, a mio parere. Mi preoccupano di più, invece, i molti segnali di stanchezza che si percepiscono, sia sul territorio che in quella assemblea».
C’è ancora un dibattito sul tema se quella elettorale sia stata una vera sconfitta.
«Ma come si fa? C’è ancora qualcuno che lo mette in dubbio? Non credo...».
Più d’uno. Dicono che c’è stata una grande rimonta.
«Qui bisogna elaborare il lutto, e alla svelta».
Ovvero?
Bisogna prendere atto che, come dice Tremonti, la destra ha costruito una elaborazione dei bisogni e delle paure di questa società che ha convinto gli italiani più della nostra. Punto».
E la vostra elaborazione.
(Sorriso) «Non ha convinto, direi».
Le daranno del disfattista.
«A dire il vero io sono realista. Poi sono convinto che i problemi strutturali del Paese non siano ancora risolti. Quindi la nostra competizione deve essere nell’elaborare le grandi risposte, non nel negare la realtà».
C’è chi dice che bisogna fare una campagna contro la Robin Hood Tax.
«Anche questo non mi convince. Chi lo dice?».
Diverse voci, anche nel Pd.
«Penso l’opposto. Io non spendo un minuto a protestare contro la Robin Hood Tax, anche perché questa, o altre mosse del governo, mi sembrano manovre intelligenti: negarlo non ha senso».
Ma allora lei rinuncia all’opposizione?
«Al contrario. Il fatto che Tremonti abbia trovato delle buone soluzioni a problemi contingenti non vuol dire che si siano risolti i nodi strutturali. Pensare che un Paese moderno come il nostro possa campare con la tessera del pane o con le carte annonarie, è una pia illusione. Quindi bisogna saper guardare oltre».
Continua a pensare che il muro contro muro non paghi, insomma...
«Credo che Tremonti stia facendo una politica indubbiamente intelligente. Bisogna accettare la sfida e competere».
Ma il leader deve essere Veltroni o no?
«Avevamo detto che il suo strappo ha cambiato il sistema politico, che aveva costruito il bipolarismo. Io lo credo ancora».
E quindi?
«È giusto che sia lui a completare questo disegno.

A patto che continui sulla strada che aveva intrapreso».

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