Chiara Poggi, 26 anni, è stata uccisa il 13 agosto tra le 9 e le 11, con quattro colpi alla testa inferti con un corpo contundente mai trovato. Alle 14 Stasi, 24 anni, va a cercarla perché non ha avuto sue notizie per tutta la mattinata. Entra in casa, si aggira per le stanze, fino a quando la trova sulle scale della cantina. Corre dai carabinieri che gli contestano alcune incongruenze: ha le scarpe pulite, nonostante si sia mosso in una casa piena di sangue e ha visto il volto «terreo» di Chiara, mentre era coperto da sangue. Dunque non è entrato in casa alle 14 ma prima, cioè alla mattina quando ha ucciso Chiara.
«Facendo la ricostruzione del percorso - spiega Lucido - Alberto può benissimo aver evitato il sangue che era una semplice macchia, non una pozza. Quanto a ciò che ha o non ha visto, vorrei ricordare che era nel panico dunque in una condizione di alterata percezione della realtà». Senza contare che le due circostanze, inoltre, potrebbero anche essere viste come prova di innocenza. Se è veramente quell’essere diabolico che ha progettato ed eseguito con tal freddezza un crimine così orrendo perché poi solo fingere di entrare quando, gettandosi sul cadavere, sarebbe stato più convincente?
Contro di lui insomma ci sarebbe solo la statistica, in base alla quale se una ragazza viene uccisa, quasi sempre l’assassino è il fidanzato. E la logica. Chiara era una ragazza molto riservata ma quel giorno ha aperto al suo carnefice in pigiama, dunque lo conosceva bene.
Gli specialisti della scientifica dei carabinieri oggi potrebbero dunque fornire alcune risposte determinanti ai fini delle indagini. Per esempio potrebbero aver trovato tracce di sangue di Chiara sulla pedaliera dell’auto, circostanza incompatibile con il racconto del ragazzo. Poi c’è l’analisi delle impronte digitali e del Dna: tracce del passaggio del fidanzato dove non dovrebbero esserci potrebbero essere fatali alla sua difesa. Gli esperti hanno anche effettuato prelievi nel box della doccia di casa Poggi dove l’assassino si sarebbe lavato dopo il massacro: anche un solo capello del giovane diventerebbe un’accusa pesante come un macigno. Senza contare tutta una serie di oggetti sequestrati nella sua abitazione quali possibili armi del delitto e che potrebbero presentare tracce di materiale organico appartenenti alla vittima.
Ma in caso contrario cosa ne sarà delle indagini fin qui svolte? A questa domanda ha già indirettamente risposto l’altro giorno il procuratore capo di Vigevano Alfonso
Lauro appena rientrato dalle ferie: «Si tratta di un caso complicato, per niente chiaro, perché ancora non è chiaro il movente, e quindi non sappiamo in che direzione andare. Per questo l’indagine si svolge a tutto campo». Indagine a tutto campo è un termine sinistro, significa che gli investigatori non hanno nulla in mano, se non un paio di scarpe «pulite» e il racconto confuso di un ragazzo che ha appena visto la sua ragazza stesa a terra, massacrata da colpi di un oggetto contundente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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