Il giallo di Garlasco dunque, con questo elemento non fa un significativo passo in avanti. Anzi gli investigatori sono più che mai convinti che risposte certe su chi sia realmente entrato nella villetta di via Pascoli 8 e abbia massacrato Chiara, 26 anni, con dieci colpi inferti con un pesante oggetto, possano venire solo dagli esami scientifici dei Ris.
Questo non toglie che anche in questi giorni siano proseguiti verifiche e interrogatori, ma si tratta ormai solo di un’attività di routine. Bisogna infatti sentire ancora una serie di persone, vicini e conoscenti, che in questi giorni erano fuori Garlasco per le ferie. E ai quali non è stata fatta alcuna fretta per tornare, considerando ininfluenti le loro dichiarazioni. Ma siccome in un caso complesso e delicato come questo non si può escludere nulla, man mano che questi rientravano, sono stati convocati dai carabinieri per riferire quel poco che sapevano. Come Marco P., un amico molto stretto di Alberto, che interrogato dopo l’omicidio, chiese il permesso di andare con altri 11 coetanei in Spagna per un viaggio organizzato da tempo. Permesso accordato. Risentito al ritorno, non ha potuto che confermare quando già dichiarato la prima volta: nessuna idea su chi possa avere ucciso la ragazza.
Chiara fu sorpresa in casa dal suo assassino lunedì 13 agosto, in un orario compreso tra le 8 e le 12, allargando la «forbice» inizialmente indicata tra le 9 e le 11. Lei sicuramente lo conosceva, visto che aprì nonostante fosse ancora in pigiama. E venne massacrata. Colpita sull’ingresso, inseguita per casa, raggiunta sulle scale della cantina dove fu «finita» con l’ultimo fendente sulla nuca.
Il corpo venne scoperto alle 14 dal fidanzato che, dopo averla cercata tutta la mattina al cellulare e al fisso, allarmato andò a vedere perché non rispondesse. Entrò, vide il corpo e fuggi via, precipitandosi dai carabinieri. Incappò tuttavia in un paio di incongruenze: le scarpe prive di tracce ematiche, e la descrizione del volto della ragazza «nel pallore della morte», mentre i carabinieri lo trovarono sporco di sangue. E per questo finì subito nel mirino degli investigatori. Non ha mai fornito un alibi vero e proprio per le ore del delitto. «Mi sono svegliato verso le 8.45 del mattino, ho fatto colazione, quindi mi sono messo a lavorare alla tesi che avrei dovuto consegnare quattro giorni dopo, usando il computer». E già il giorno dopo si presentò il caserma per consegnare il portatile, dopo aver riversato il materiale su un dischetto.
La macchina sarebbe stata esaminata dai militari scoprendo che sarebbe stata accesa per non più di qualche minuto tra le 9 e le 10. Per effettuare ulteriori accertamenti i militari due giorni fa si sono presentati in casa Stasi e si sono fatti consegnare il famoso dischetto. Anche se poi, da stesse fonti investigative, arrivano inviti alla prudenza. Alberto infatti non ha mai dichiarato di aver lavorato ininterrottamente ed esclusivamente al pc per l’intera mattinata, ma solo di aver «lavorato alla tesi, usando il portatile». In altri termini l’accensione della macchina anche se solo per pochi minuti non è una prova e forse neppure un indizio. Anche se le indagini svolte in queste tre settimane non hanno permesso di individuare altre piste plausibili e il ragazzo rimane l’unico potenziale assassino di Chiara.