Ciampi: «In Irak quando la guerra era già finita»

da Roma

Al Gambrinus, in piazza Plebiscito, Carlo Azeglio Ciampi si concede un caffè, una sfogliatella e un bagno di folla con i napoletani. Applausi, strette di mano, tante domande sul tema del giorno, la pace: il Papa sollecita il disarmo nucleare e Pier Ferdinando Casini, accompagnato da Luciano Violante, è volato a Nassirya. «Sapete come la penso. Noi siamo andati in Irak quando la guerra guerreggiata era finita». Insomma quella è una spedizione umanitaria, non ci può sbagliare, le date parlando da sole. «Le nostre truppe - precisa il capo dello Stato - sono arrivate nel giugno 2003 quando gli eventi bellici veri e propri erano conclusi alla fine di marzo di quell’anno. Ricordiamocelo sempre».
Questo è un argomento, spiega, «che mi sta molto a cuore». Il presidente ne ha accennato pure nel discorso di capodanno: «Mi avete sentito, i napoletani certe cose le capiscono bene. Ho parlato veramente con il cuore. E ho ricordato quella bella frase della bambina di Corleone, “la pace nasce nel cuore e si diffonde nell’aria”». Quanto poi all’appello di Benedetto XVI contro le bombe atomiche, «sapete anche quante volte ho parlato di queste armi che sono di distruzione totale, contro le quali bisogna lavorare».
Prudenza massima invece sulla vicenda Bankitalia e sulle dimissioni di Antonio Fazio: «Non parliamo di cose particolari, per favore». Qualcosa di più però il capo di Stato la concede se si allarga il discorso alla crisi della classe dirigente: «Il nostro futuro sono i giovani, sono loro che devono formarsi e devono diventare la nostra classe dirigente. Ragazzi, continuate così». E un’attenzione particolare, aggiunge, la meritano gli italiani all’estero: «È bello ricordare le nostre comunità, dovremmo farlo più spesso. I progressi ci sono stati, ne dobbiamo fare ancora». E indica il porto di Napoli, i container, le navi: «Mi fanno pensare ai velieri e ai piroscafi che partivano da qui un secolo fa con gli emigranti, in quelli condizioni di grande povertà». Rotta verso Montevideo, San Paolo, New York. «Ci siamo fatti onore ovunque».
Due passi per il centro, protetto da una grande sciarpa bianca, sottobraccio alla moglie Franca, avvoltolata in una mantella grigia. Altri battimano, altri cori da stadio. Ecco, il calcio. «Vogliamo il Napoli in serie A» gridano. «Giusto. Quando vengo qua - risponde Ciampi - vedo il San Paolo e mi chiedo: ma come il Napoli non è in serie A? Bisogna provvedere». Quella del presidente con la città del Golfo, oltre a un appuntamento fisso, è una passione particolare. «Vi voglio bene - dice - non da oggi né da ieri, ma da molto tempo». Il capo dello Stato passerà qualche giorno a Villa Rosebery. Andrà pure a Scampia? Chissà: «Sono qui per riposarmi, non ho ancora un programma preciso giorno per giorno. Vedremo».
Ciampi è arrivato alla conclusione del settennato. Tornerà a Napoli pure quando finirà il mandato? «Certamente. È più di una promessa.

Io venivo qui anche prima di diventare presidente della Repubblica. Arrivano per trascorrere il Natale e il capodanno, poi il 1° ripartivo. Adesso devo passare Natale e il 31 a Roma. Ma il primo dell’anno, come vedete, io sono sempre qua».

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