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Ciclismo, è morto Vito Taccone il "camoscio d'Abruzzo"

Stroncato da un infarto a 67 anni. Celebri come le sue vittorie le liti che ne hanno accompagnato la carriera

Ciclismo, è morto Vito Taccone 
il "camoscio d'Abruzzo"

Avezzano – Il “Camoscio d’Abruzzo” se n’è andato. Vito Taccone, celebre ciclista degli anni Sessanta, è morto a 67 anni stroncato da un infarto. Soprannominato "camoscio" per le sue grandi qualità di scalatore, Taccone aveva raggiunto l’apice della popolarità con le quattro vittorie al Giro del 1963, grande protagonista nelle tappe dolomitiche. Nel 1961 vinse il Giro di Lombardia, negli anni seguenti il Giro del Piemonte, il Giro della Toscana, il Giro della Campania, la Milano-Torino e il Trofeo Matteotti. In totale vinse 25 corse, piazzandosi quarto al Giro d’Italia 1963, poi due volte al sesto e una volta al nono posto.

Guai giudiziari La settimana scorsa si era incatenato davanti al tribunale di Avezzano, sollecitando la definizione di un’inchiesta per la quale era stato arrestato e poi scarcerato. La vicenda riguardava un commercio di capi di abbigliamento contraffatti o provenienti da furti o ricettazione. Taccone era titolare di un’azienda di abbigliamento sportivo.

Di Luca: "Ho preso la sua eredità" "Un simbolo, un grande simbolo della mia terra. Mi dispiace ancora di più perché ho preso nel ciclismo la sua eredita". Danilo Di Luca, vincitore del Giro d’Italia 2007, ha appreso la notizia della scomparsa di Vito Taccone con un groppo alla gola. "L’ho visto per l’ultima volta prima del Giro D’Italia e lui mi disse che alla Liegi mi aveva visto davvero bene e che secondo lui avrei potuto vincere il Giro d’Italia - ha spiegato il ragazzo di Spoltore - lui ha creduto in me fin dal primo momento e la sua scomparsa mi riempie davvero di dolore", ha chiuso Di Luca.

Il ricordo di Gimondi "La notizia della morte di Vito Taccone mi è arrivata presto e mi ha lasciato con il morale a terra". Felice Gimondi si dice ’dispiaciuto e commossò, anche perchè con il grande Camoscio abruzzese aveva legato in maniera particolare, taciturno bergamasco, l’altro esuberante abruzzese. "Ho avuto ottimi rapporti con lui, dal mio ritiro da professionista ero in camera con lui, quindi appena sono diventato grande, il primo corridore che ho frequentato è stato Vito. In gara era aggressivo, agonista, è una gran bella parte del nostro mondo che se ne va - racconta abbattuto Gimondi - lascia dei bei ricordi".

Uno scalatore con un bel caratterino Carattere esuberante, scalatore provetto nella fase più felice della sua carriera, Taccone era nato ad Avezzano il 6 maggio 1940 e aveva esordito fra i professionisti nel 1961, raccogliendo importanti risultati agonistici. Nel 1961 vinse il Giro di Lombardia, che in quell'edizione percorreva il durissimo Muro di Sormano. In più di un'occasione era stato accusato di aver causato cadute negli arrivi in volata. Contribuì, da corridore, al successo delle prime edizioni del famoso "Processo alla tappa" condotto da Sergio Zavoli, in quanto con le sue espressioni dialettali e schiette, suscitò curiosità tra gli addetti ai lavori e tra il pubblico degli appassionati.
Numerose le vittorie conseguite nei Giri d’Italia e nelle classiche su strada in diverse regioni italiane. Resta il record delle cinque tappe, di cui quattro consecutive, vinte nel Giro d’Italia del 1963. Nel 1968 si classificò quinto al campionato del mondo disputato ad Imola. Durante il Tour de France del 1964 venne accusato di aver causato diverse cadute negli arrivi in volata per i suoi scatti scomposti; la tensione con gli altri atleti culminò in una scazzottata con il corridore spagnolo Fernando Manzaneque.

I guai con la giustizia Taccone aveva avuto diversi disavventure con la giustizia: nel 1982 aveva ottenuto dalla corte d’appello dell’Aquila l’amnistia per i reati di lesioni personali gravi e rissa: in primo grado era stato condannato a tre anni e tre mesi di reclusione di cui un anno e nove condonati. Nel 1973 Taccone e altre dieci persone si azzuffarono per futili motivi ad Avezzano, intervenne polizia che denunciò gli autori della rissa. Nel 1985 era finito in manette per un raid compiuto in un albergo di Avezzano: dopo pochi giorni aveva ottenuto la libertà provvisoria.

Poi 14 giugno scorso era stato arrestato per il reato ipotizzato di associazione per delinquere finalizzata al commercio di capi di abbigliamento ed accessori con marchi di fabbrica contraffatti o provenienti da furti o ricettazione: aveva ottenuto prima gli arresti domiciliari che erano poi stati revocati ed era tornato in libertà.

Ma questa vicenda l’aveva segnato e il 2 ottobre scorso si era incatenato davanti al tribunale di Avezzano per ottenere un processo rapido.

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