Vito Adorni, il primo ciclista - giornalista ammirato da Montanelli

Maglia rosa, campione del mondo, ma anche intervistatore munito di proprietà linguistiche formidabili. Grazie all'intuizione di Sergio Zavoli inventà il mestiere del commentatore sportivo

Wikipedia
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Si può sapere che ci fa una maglia rosa con un registratore appeso al collo ed un microfono stretto nella mano destra, mentre con quell'altra cerca di tenere in pari il manubrio? Una roba mai vista. Ma come, stai lottando per vincere il Giro d'Italia - mica una risibile corsetta su una qualche strada sterrata di provincia - e trovi pure il tempo per metterti a chiedere agli avversari come sta andando? Eppure, durante l'edizione del 1965, Vittorio Adorni - Vito, per tutti - fece proprio così.

Sgombriamo subito il campo da ogni possibile fesseria, anche se si è già capito: trattasi di un campione delle due ruote. Uno che, proprio quell'anno, il Giro lo vincerà. Un anno fa, invece, ha indovinato un argento al mondiale e tra tre anni aggancerà l'oro. Allora cosa diamine sta facendo? Il fatto è che l'ha chiamato Sergio Zavoli, celeberrimo inventore del "Processo alla tappa". L'ha sentito disquisire dopo alcune gare e gli è parso un tizio alquanto disinvolto mica solo sui pedali. Adorni sa farci anche con le parole.

Così ecco la surreale proposta. "Senti Vito, perché non mi fai il commento tecnico? E già che ci sei, anche qualche intervista durante la gara?". Adorni ascolta, prende nota, dapprima non ci crede, poi scrolla le spalle: "Massì, perché no?". E certo, uno gareggia con la maglia rosa premuta sulla pelle e trova pure il tempo di mettersi a fare quattro chiacchere. "Come la vedi la corsa oggi? Cosa ti aspetti dai tuoi compagni?". Roba da non crederci, eppure Vito lo fa davvero. "Nella prima parte della corsa, quando ancora non era scoppiata la bagarre", racconterà anni dopo.

Ciao Mamma
Vito Adorni conduce "Ciao Mamma"

Poi, a fine gara, eccolo a sviscerare le scelte di giornata, a cimentarsi con i tecnicismi, sempre con un gergo appropriato e tutt'altro che ricorrente in quel ciclismo lì, quello post Bartali e Coppi, fatto di figli di contadini e muratori, mica di sublimi letterati. Adorni sa stare talmente al pezzo, è talmente bravo, da attirare l'attenzione di chi il giornalista lo fa davvero e pure degli intellettuali di quel tempo. Zavoli, del resto, lo mette a dialogare con Gianni Brera, Mario Soldati, Pierpaolo Pasolini e Indro Montanelli. Quest'ultimo se ne invaghisce al punto da offrirgli un lavoro: "Senta Adorni, lei deve scrivere per Il Giornale". E lui: "Ma io non sono neppure laureato". "Non importa - replica Indro - lei è più bravo di molti miei colleghi".

Nasce così il primo ciclista - giornalista, precursore dello sportivo che diventa commentatore tecnico. Con una singolarità tuttavia piuttosto irripetibile: lavorare anche in gara. Come se oggi Lautaro Martinez chiedesse a Vlahovic come sta andando la partita nei primi cinque minuti. Una roba che, traslata nel calcio, verrà proposta da Vittorio Pozzo e pochi altri, in quel periodo. La mediaticità di Adorni lo farà diventare pure conduttore televisivo, nel 1968: il quiz è "Ciao mamma".

Chi lo scruta in bianco e

nero deve lucidare lo schermo per crederci. Poi resta sedotto da quell'unicità del campione che diventa anche qualcos'altro. L'esperto che ti affabula con lo sport che ami. Il padre di un mestiere destinato ad esplodere.

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