Questa volta Anna Galiena è una delle donne di Pinter, il commediografo dellassurdo su cui si apre uninteressante rassegna al Franco Parenti che spazia tra teatro e cinema. LAmante sembra un titolo fatto a pennello per unattrice che ha spesso rivestito ruoli di donne fatali ma malinconiche, poetiche ma un po drammatiche; dalledipica parrucchiera Mathilde di Patrice Leconte alladultera Livia di «Senso 45», che lannoverò come presenza inedita nel gineceo di Tinto Brass. Ne passò indenne, impermeabilizzata da uno chassis artistico formatosi sui palchi di Broadway e che lhanno fatta scivolare senza pregiudizi dalle letture dei grandi drammaturghi, al grande schermo, fino alle fiction. «E perchè mai dovrei avere pregiudizi -dice alla vigilia della prima- Mi considero libera di scegliere tutto ciò che mi stimola e, se me lo chiedessero, farei volentieri anche la radio».
Il teatro in fondo sembra un ritorno a casa per chi, come lei, ha debuttato recitando Shakespeare nel ruolo di Giulietta.
«Premesso che Shakespeare continua ad essere la mia Bibbia, queste differenziazioni tra teatro, cinema e tv sono una caratteristica molto italiana. Negli Stati Uniti, dove ho avuto la fortuna di cominciare questo mestiere, conta una cosa sola: la professionalità».
E la meritocrazia. Una vecchia storia...
«Ma che nella professione di attore non ammette deroghe. La Equity card, che è la tessera di attore professionista, si conquista solo dopo una trafila lunghissima, piena di sacrifici e studi che non si fermano mai».
Trafila che lei ha fatto a ventanni andando a vivere New York, allActor studio, e lavorando al fianco di grandi artisti...
«Da loro ho imparato soprattutto la dedizione e la grandissima umiltà. Ricordo quando, durante i corsi, venivano a ripassare con noi attori del calibro di Jessica Lang -che aveva già fatto il Postino con Jack Nicholson - o superman Christopher Reeve. Oppure alle lezioni pomeridiane arrivavano artisti che la sera avevano lo spettacolo nei grandi teatri di Broadway. Lo sa perchè?».
Perchè?
«Anche se sei al top, sei obbligato continuamente a migliorare perchè, a differenza dellItalia, in America non conta essere bella o avere santi in Paradiso. La concorrenza è apertissima ma spietata, devi studiare e provare in continuazione».
E allora perchè è tornata in Italia?
«Perchè è il mio Paese e comunque gli italiani che emigrano sono sempre un po degli esuli. Però ammetto che il ritorno è stato durissimo».
Beh, dallestero hanno continuato a chiamarla, da Patrice Leconte a Bigas Luna a Claude Chabrot. I francesi, poi ladorano, lhanno voluta pure per la televisione.
«È vero, io però li ho traditi. Sono stati loro a scoprirmi per il grande cinema e, dopo Il marito della parrucchiera, Leconte mi avrebbe voluta anche in Tango, ma io mi ero già impegnata a girare un film italiano, Il grande cocomero dellArchibugi. Ai francesi se dici di no una volta se la legano al dito».
Comunque, la parrucchiera Mathilde resta il suo grande capolavoro, la sacerdotessa di un amore assoluto, irreale. Comè stato recitare al fianco di un maestro come Jean Rochefort?
«Meraviglioso e anche facile, come è facile lavorare solo con i grandi attori, che si rivelano sempre ottimi compagni. Unesperienza simile lho provata al fianco di Liv Ullman in Mosca addio. Sul set i problemi li creano solo gli attori scarsi...».
E comè andata con Tinto Brass, imbarazzante?
«Ma no. Ho accettato il ruolo di Livia Mazzoni con entusiasmo perchè conoscevo già la novella di Boito e ho apprezzato moltissimo la sceneggiatura di Brass ambientata nella Venezia decadente di fine guerra. Il personaggio di lei è erotico ma anche maledetto, e secondo me alla fine suscita nel pubblico sentimenti avversi».
Nell«Amante», diretto da Andrèe Ruth Shammah, interpreta il ruolo di Sarah, una moglie che per rinfocolare la passione coniugale inventa con il marito un adulterio immaginario.
«È un personaggio comune a molte donne borghesi che vedono lamore familiare separato dal sesso. Mi convince soprattutto Pinter, un autore che amo moltissimo perchè è un maestro della scrittura. Per me la parola conta più di tutto».
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