
Un’isola e una casa. Una famiglia decaduta dove ognuno dei componenti vive in una bolla fatta del proprio passato e dei propri sogni. Desideri mancati e aspirazioni mai raggiunte ma nemmeno accantonate. Nottetempo vi entrano - neanche tanto di soppiatto - due ladri che cercano riparo dagli artigli della polizia. Sono schiavi di un malavitoso in odore di mafia che li ricatta. I finti idealisti con il vizio di vendette incrociate si specchiano nei due criminali impenitenti. E soltanto il cuore sa inserirsi in una dinamica incomprensibile e impenetrabile. Il sentimento sposa la
bugia che spesso confina con la finzione e, su questo crinale, è costruita L’isola degli idealisti, l’ultimo film di Elisabetta Sgarbi approdato ieri nelle sale e costruito sul romanzo inedito di Giorgio Scerbanenco che La nave di Teseo ha pubblicato nel 2018.
La sceneggiatura ambientata alla fine degli anni Sessanta è il primo tradimento dell’originale situato nel ’42, in piena guerra mondiale. Ma non solo. I debiti verso il prolifico autore novecentesco si allargano all’ingresso di personaggi provenienti da altre opere dello scrittore di noir.
Stupisce l’attualità di un testo che non sembra avere più di ottanta primavere.
L’accenno all’eutanasia, per cui il protagonista, interpretato da Tommaso Ragno, paga un prezzo altissimo, si mescola alla volontà di redimere chi sbaglia, ossia i due ladri, nello stesso modo in cui questi ultimi cercano di spezzare il reticolo di falsità e di narcisismi che dominano tutti i componenti della famiglia Reffi che li “ospita” in casa propria.