Circo Massimo

Il governo libanese scricchiola sotto la pressione di Hezbollah e l’onda d’urto rischia di travolgere la missione militare Unifil in Libano e la politica estera italiana. La situazione nel Paese dei cedri è talmente esplosiva che il ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha sentito la necessità e urgenza di esternare tutta la sua preoccupazione per quello che sta accadendo a Beirut.
Il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, sta chiamando in queste ore i suoi sostenitori a prepararsi a una manifestazione imponente contro il governo di Fouad Siniora accusato di «prendere ordini dagli americani». Se l’uscita dall’esecutivo di sei ministri sciiti filosiriani (cinque sono di Hezbollah) era un campanello d’allarme, le dichiarazioni di Nasrallah non lasciano dubbi: il Libano è di nuovo sull’orlo del precipizio. E su quel bordo di roccia friabile c’è anche il ministro degli Esteri D’Alema che potrebbe veder franare il castello politico sul quale aveva costruito non solo la presunta «svolta» della politica estera italiana, ma addirittura un nuovo corso della diplomazia mondiale.
La storia è sempre un’ottima fonte per non compiere errori, ma ancora una volta né l’Onu né l’Europa e purtroppo neppure gli Stati Uniti hanno voluto rileggerla: il Libano è un Paese a sovranità limitata dove il movimento transnazionale degli sciiti fa la sua corsa grazie al carburante (soldi e armi) iraniano e siriano. In mezzo c’è lo Stato di Israele, l’unica democrazia dell’area, che lotta per la sua sopravvivenza in un Medio Oriente dominato da satrapi desiderosi di cancellarlo dalla carta geografica.
Di fronte a questo scenario, il ministro degli Esteri italiano ora sente rivelarsi a grandi passi tutta la debolezza dell’azione diplomatica, ammette che «non ha dato i frutti che ci eravamo augurati» e vede profilarsi la minaccia di un nuovo conflitto. Altro che forza d’interposizione internazionale anche a Gaza, idea bocciata qualche giorno fa da John Bolton, definito dal Wall Street Journal «il miglior ambasciatore che gli Stati Uniti abbiano mai avuto all’Onu». Riconoscimento che non convince i Democratici, pronti invece a non confermare Bolton alle Nazioni Unite. E proprio i vincitori delle elezioni di mid-term negli Stati Uniti rischiano di complicare il puzzle mediorientale su cui D’Alema ha costruito i suoi origami diplomatici.
I Democratici in questo momento sono tentati più che mai dall’isolazionismo in politica estera e dal protezionismo in economia. Non è certo una novità della politica americana, ma D’Alema ora ne avverte il pericolo: se gli Stati Uniti arretrano la loro sfera d’influenza diplomatica e soprattutto militare, l’Europa non sarà in grado di far fronte alla crisi. La Casa Bianca finora non ha dato segnali di arretramento (la Costituzione americana affida al presidente le scelte di politica estera e in caso di guerra i suoi poteri si ampliano) ma lo stesso Bush durante il viaggio a Singapore ha avvertito i Democratici: «L’America deve reagire e non cadere nella vecchia tentazione isolazionista e protezionista».
Paradossalmente, D’Alema ora sostiene le stesse posizioni della Casa Bianca quando auspica che «le elezioni americane non penalizzino la capacità di iniziativa americana in senso isolazionista. Sarebbe un vero guaio».

Un guaio che il numero uno della Farnesina aveva colpevolmente sottovalutato e oggi fa tremare i polsi di chi ha pensato di poter giocare una pericolosa partita a scacchi senza avere a disposizione tutti i pezzi della scacchiera.

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