Citati cita, anzi ripete. All’infinito

È una sicurezza, questo Citati. Quando, per un soldo, ci riassume la trama di Lord Jim, viene subito in mente Lord Jim. Quando si diffonde su D’Annunzio, ecco D’Annunzio apparire nelle sue parole. Quando ci racconta i traslochi di Virginia Woolf, non c’è dubbio che sia proprio lei, quella che trasloca. Ha la virtù del ripetitore, Citati: si avvicina di soppiatto ad uno scrittore famoso, gli strappa il microfono dalle mani e inizia a dire esattamente la stessa cosa che il malcapitato stava provando a dire. Se vi serve qualcuno che spieghi Goethe agli extraterrestri, chiamate Citati: gli alieni capirebbero immediatamente di che si tratta.
Peccato che a lungo andare qualsiasi ripetitore, forse per ragioni elettrotecniche, si logori, se non ci mette del suo. E poi gli scrittori hanno bisogno sempre di una ritoccatina nonché, dopo la rasatura, della nube finale di borotalco. Ecco allora Citati spingere sul pedale, fin quando la cassa armonica dello scrittore non inizia a risuonare. Entriamo nel regno dei «Nessuno come lui...», dei «Non era mai stata così felice». Fino ad essere ammessi nell’oscuro sancta sanctorum al quale si accede tramite un rito, il celebre «rito iniziatico del tutto». Ogni grande scrittore ci è passato, è la stagione in cui «tutto quello che...» e poi a seguire due o tre parole qualsiasi, anche se mai sfacciatamente posticce.
Valéry? «Tutto ciò che vedeva l’accecava, tutto quello che sentiva l’assordava, tutto quello che sapeva lo rendeva ignorante». Croce? «Tutte le cose che faceva le voleva come non volendole...».

Sarà per questa inclinazione alla tuttologia che il grande saggista ha inflitto alla sua raccolta di articoli un titolo da sdilinquimento, La malattia dell’infinito (Mondadori)? Beninteso, non c’è niente di male; e comunque meglio lo sdilinquimento di Citati delle rivoltellate di Lucarelli.

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