
Non è un’arena di polvere e recinti quella in cui rischiano di finire i tori meccanici Made in Italy, ma il terreno scivoloso della guerra commerciale tra Europa e Stati Uniti. Dal laboratorio di Manerba del Garda, dove M.Art Technology plasma con cura artigianale le sue “bull riding machines” marchiate Show Games, il viaggio fino alle piste dei rodei americani è stato finora una corsa senza ostacoli doganali. Ora, però, l’aria è cambiata. L’amministrazione Trump ha introdotto un nuovo regime di dazi “reciproci” che può colpire con tariffe dal 10% al 50%, e che in media pesa per circa il 18,6% sul prezzo finale. Per un prodotto di nicchia, realizzato quasi esclusivamente per l’export oltreoceano, anche un aumento del 15% significa passare dall’essere un simbolo di qualità irraggiungibile a un lusso fuori portata.
Il successo dei prodotti italiani
Erika Tessarolo, alla guida dell’azienda di famiglia e portavoce di Confartigianato Costruttori di Attrazioni, racconta una realtà che pochi conoscono: “Non abbiamo un codice Ateco dedicato, non abbiamo fondi o aiuti. Molti ignorano perfino che esistiamo. Eppure rappresentiamo un settore che porta il Made in Italy nei parchi divertimento di mezzo mondo”. Negli anni, Show Games ha saputo resistere alla chiusura di mercati importanti come quello russo, dove le attrazioni italiane erano richieste per qualità e sicurezza certificata, ed è riuscita a conquistare anche i Paesi arabi. Ma la stabilità di questi mercati è altalenante e nulla può compensare la perdita di un cliente come gli Stati Uniti, che assorbono una fetta decisiva della produzione. “Se un dazio rende il nostro toro meccanico troppo caro, il cliente americano rinuncia. E noi perdiamo il mercato principale”, avverte Tessarolo.
Le possibili ripercussioni
Secondo le stime elaborate da associazioni di categoria, il nuovo sistema tariffario statunitense potrebbe costare all’Italia fino a 3,8 miliardi di euro di Pil e oltre 50mila posti di lavoro l’anno, con l’export verso gli Usa in calo fino al 15% in alcuni settori. Anche se l’attenzione mediatica si concentra su automotive, moda e agroalimentare, l’impatto sulle micro e piccole imprese è altrettanto drammatico. “Qui non si parla di multinazionali — spiega Tessarolo — ma di officine dove ogni pezzo è costruito a mano, con tecniche che nessuna catena industriale può replicare”. Se la barriera doganale dovesse diventare insormontabile, il rischio è che queste eccellenze scompaiano silenziosamente, lasciando vuoti non solo nei bilanci, ma anche nella cultura produttiva italiana.