
Non avere il proprio nome sul citofono o sulla cassetta delle lettere equivale ad essere considerati irreperibili dal Fisco: ecco perché in casi del genere, qualora una notifica dell'Agenzia delle entrate risultasse non recapitabile, per il contribuente scatterebbero comunque le pene previste, ipoteche e pignoramenti inclusi.
Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la recente sentenza 24745/2025, sulla base di una vicenda che ha visto come protagonista una cittadina oggetto di cartelle esattoriali da lei non saldate: non essendosi mai messa in regola col Fisco, la donna aveva subito l'ipoteca su un immobile di sua proprietà.
Convinta di aver subito un'ingiustizia, la contribuente aveva deciso di presentare ricorso, sostenendo di non avere mai ricevuto né le cartelle esattoriali né tanto meno la notifica di preavviso dell'iscrizione ipotecaria, dal momento che da tempo si era trasferita in una nuova abitazione pur essendo la residenza anagrafica rimasta presso il vecchio indirizzo.
Sia in primo che in secondo grado, tuttavia, le Corti di giustizia tributaria avevano respinto la sua istanza: decisa ad andare fino in fondo, la donna si era infine rivolta alla Suprema Corte. La bocciatura è arrivata anche in questo caso, con gli Ermellini che hanno confermato la validità giuridica della notifica: e questo perché il messo notificatore si era recato per ben due volte presso l'indirizzo in cui la contribuente risultava formalmente residente, senza tuttavia poter recapitare gli avvisi dal momento che né sul citofono né sulla cassetta postale risultava il suo nome.
In assenza di questi fondamentali riferimenti, si legge sulla sentenza della Cassazione, e pur avendo eseguito un duplice tentativo, il messo dichiarava "che la destinataria non era risultata in alcun modo reperibile. Conseguentemente, la notifica ex art. 60, comma 1, lett. e) del D.P.R. n. 600/73 va ritenuta valida, vertendosi in ipotesi di irreperibilità assoluta, come correttamente ritenuto dal giudice del gravame".
Contrariamente da quanto sostenuto dalla donna e dai suoi legali,"il certificato di residenza non ha efficacia fidefaciente tale da contrastare gli accertamenti compiuti dall'organo notificatore". "Questa Corte ha, infatti, chiarito che, in materia di notificazione dell'avviso di accertamento, l'attestazione del pubblico ufficiale sulla relata di notifica di avere acquisito, da accertamenti eseguiti in loco, la conoscenza che il contribuente non è risultato reperibile presso l'indirizzo indicato costituisce atto pubblico e fa piena prova fino a querela di falso", precisano gli Ermellini.
A inficiare questa prova non è sufficiente appellarsi a certificati anagrafici/elettorali "che attestino solo formalmente la persistente residenza in loco del destinatario della notifica, poiché le risultanze anagrafiche rivestono valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza, che, nel caso di specie, sono risultate di fatto smentite dagli accertamenti del pubblico ufficiale".
Quindi la relazione di notifica del messo notificatore costituisce un atto pubblico e prevale da un punto di vista giuridico sui documenti anagrafici, a cui viene attribuito esclusivamente un valore presuntivo.
In sostanza bisogna essere rintracciabili, e nel caso in cui non si provvedesse a risultarlo, apponendo il proprio nome sul citofono o quantomeno sulla cassetta postale, qualsiasi notifica ufficiale non andata a buon fine sarebbe da imputare solo al contribuente, che non potrebbe contestare eventuali procedure esecutive a suo carico.