
Continuano a moltiplicarsi i casi di phishing che sfruttano l’autorevolezza della Polizia di Stato per mettere a segno frodi informatiche ai danni di cittadini ignari. Dietro un’apparenza ufficiale e credibile, si celano truffatori ben organizzati, capaci di replicare fedelmente loghi istituzionali, firme digitali e persino indirizzi reali di sedi come il Polo Tuscolano della Polizia. Ecco come non cadere nell'inganno.
Le mail truffaldine
Una delle e-mail truffaldine più diffuse in questi giorni si apre con un messaggio dal tono allarmante: “Considerata l’urgenza di questo documento, saremo grati se volesse risponderci al più presto via email”. Il testo prosegue insinuando che il destinatario sia implicato in presunte attività illecite online, affermando che sarebbero stati rilevati “elementi preoccupanti relativi all’accesso a contenuti informatici vietati dalla legislazione italiana”. Una trappola costruita ad arte per destabilizzare chi legge, spingendolo a reagire d’istinto. Il senso di urgenza, l’autorità evocata dal logo della Polizia e l’apparente formalità della comunicazione sono pensati proprio per bypassare il senso critico, portando l’utente ad aprire allegati infetti o rispondere fornendo dati personali.
Il messaggio della Polizia
La Polizia di Stato, tramite i propri canali ufficiali, mette in guardia i cittadini: nessun dipartimento o ufficio utilizza l’e-mail per notificare coinvolgimenti in indagini o attività investigative. Si tratta di una prassi che non appartiene alle forze dell’ordine italiane. Il consiglio è semplice ma fondamentale: non aprire mai allegati né cliccare su link contenuti in messaggi di dubbia provenienza, anche se apparentemente riconducibili a enti ufficiali.
Come non cadere nell'inganno
Le indagini informatiche, ricordano gli esperti, non passano mai da notifiche via posta elettronica.
Davanti a qualsiasi dubbio, è bene contattare direttamente la Polizia o consultare il sito ufficiale www.poliziadistato.it per verificare l’autenticità della comunicazione ricevuta. Diffidare, in questi casi, non è mancanza di fiducia: è prudenza digitale.