
Pagare con carta è ormai un gesto istintivo: un tap sul terminale e la transazione va a buon fine. Ma per chi sta dall’altra parte del bancone, quel gesto ha un prezzo. Ogni operazione con il POS comporta una commissione, piccola ma costante, che riduce i margini di guadagno e incide sul bilancio di negozianti, artigiani e professionisti. Per rendere meno pesante questa voce di spesa, lo Stato ha introdotto il Bonus Pos, un credito d’imposta che consente di recuperare fino al 30% delle commissioni sui pagamenti elettronici. Una misura nata per incentivare l’uso della moneta digitale, ma anche — e soprattutto — per aumentare la tracciabilità dei flussi di denaro, arma centrale nella lotta all’evasione fiscale.
L’Italia verso l’obbligo totale di tracciabilità
La direzione del Governo è chiara: più pagamenti elettronici, meno contante. L’obiettivo è ridurre l’economia sommersa, che in Italia vale ancora oltre 170 miliardi di euro, secondo le stime Istat. Proprio per questo, dal 1° gennaio 2026, scatterà l’obbligo di collegare il Pos direttamente al registratore di cassa, così da rendere immediato il tracciamento delle operazioni. Un passo in avanti per l’amministrazione fiscale, ma una complicazione in più per chi gestisce un’attività. Le commissioni, infatti, restano a carico degli esercenti: una percentuale apparentemente minima che, moltiplicata per centinaia di transazioni, può pesare in modo non trascurabile su bar, tabaccai o piccoli esercizi commerciali.
Un credito d’imposta pensato per i piccoli operatori
Il Bonus Pos è stato introdotto nel 2019 (articolo 22 del D.L. 124/2019) e reso operativo dal 1° luglio 2020. Inizialmente, durante il periodo Covid, copriva anche il 100% delle spese, ma oggi la quota riconosciuta è del 30% delle commissioni sostenute per transazioni con carte di credito, debito o strumenti digitali. Non tutti però possono beneficiarne. Il credito è riservato a imprese e professionisti con ricavi o compensi non superiori a 400.000 euro annui: in pratica, il mondo delle piccole attività. Per i grandi operatori, invece, resta un costo da assorbire.
Come si richiede e utilizza il Bonus POS
L’agevolazione è automatica, ma richiede attenzione. Il credito maturato può essere utilizzato in compensazione già dal mese successivo alla spesa, compilando il modello F24 e indicando il codice tributo 6916 nella sezione “Erario”. Il credito va poi dichiarato nel modello Redditi, quadro RU, con il codice “H3” e i righi RU5, RU6 e RU12, dove si indicano rispettivamente gli importi maturati, utilizzati e residui. Nel rigo RS401, invece, occorre inserire il “codice aiuto 58”.
Il regime “de minimis”: aiuti sì, ma con limiti
Il Bonus POS rientra nel regime europeo degli aiuti di Stato “de minimis”, che permette ai Paesi membri di concedere incentivi economici alle imprese senza previa autorizzazione della Commissione Europea. Ma ci sono dei limiti: dal 1° gennaio 2024, il tetto massimo cumulabile è di 300.000 euro in tre anni, contro i 200.000 previsti in precedenza. In pratica, si tratta di aiuti modesti, che non alterano la concorrenza tra imprese né il funzionamento del mercato interno europeo.
Adempimenti per i gestori e trasparenza per gli esercenti
Le società che gestiscono i terminali POS hanno l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate, entro il giorno 20 del mese successivo, i dati delle operazioni effettuate: codice fiscale dell’esercente, mese e anno di
riferimento, numero totale delle transazioni e ammontare delle commissioni applicate. Questi dati vengono poi trasmessi anche agli esercenti, che possono così calcolare con precisione l’importo del credito d’imposta spettante.