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Partite Iva, quando non conviene la tassa piatta: la soglia degli 85 mila euro (e le detrazioni ammesse)

Non conta solo quanto si incassa, ma quando e come: premi, pagamenti inattesi e contributi possono far superare il limite

Partite Iva, quando non conviene la tassa piatta: la soglia degli 85 mila euro (e le detrazioni ammesse)
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Per chi lavora con partita Iva, il regime forfettario con imposta al 15% può essere una scelta vantaggiosa, ma non è automaticamente la migliore per tutti. Il punto decisivo è la soglia degli 85 mila euro di ricavi o compensi annui: restare sotto quel limite consente di mantenere il regime agevolato, mentre superarlo fa uscire dal forfait e comporta, dal 1° gennaio dell’anno successivo, il passaggio al regime ordinario, dove l’Irpef è più alta e l’Iva va versata per intero, tenendo conto delle detrazioni fiscali legate all’attività. Proprio per questo, più che la cifra in sé, conta la distanza reale dalla soglia e quanto i propri incassi siano prevedibili: un pagamento inatteso o un premio possono modificare l’equilibrio e cambiare il regime applicabile.

A chi conviene la tassa piatta e a chi no

Come anticipato, il forfettario tende a convenire a chi ha ricavi o compensi che rimangono sotto gli 85 mila euro in modo stabile e prevedibile, perché permette di mantenere l’aliquota al 15% e di evitare il passaggio alle regole fiscali ordinarie. È una soluzione che risulta più semplice da gestire quando la propria attività ha un andamento regolare e non espone al rischio di superare la soglia per scostamenti improvvisi. Il regime può essere meno adatto per chi lavora molto vicino agli 85 mila euro e sa di poterli superare anche per entrate non pianificate. In questo scenario, il punto non è soltanto “quanto” si guadagna, ma quanto siano prevedibili e programmabili gli incassi nel corso dell’anno.

Quanti rischiano davvero di superare gli 85 mila

Il tema riguarda una parte limitata degli aderenti al regime forfettario. Gli aderenti a questa misura sono oltre 2 milioni e che, come evidenzia un’analisi del Sole 24 Ore, il livello medio dei ricavi è di 32 mila euro: per questo la fascia mediana, nella maggior parte dei casi, non arriva a sfiorare gli 85 mila. Il discorso cambia invece per chi opera con volumi più alti, ad esempio consulenti o titolari di piccole attività commerciali, perché il margine rispetto alla soglia può ridursi rapidamente.

Attenzione a chi ha aperto la partita Iva in corso d’anno

Un passaggio operativo importante riguarda chi ha avviato l’attività durante l’anno. In questo caso, la soglia degli 85 mila euro va proporzionata al periodo effettivo di attività. L’esempio riportato è quello di chi apre la partita Iva il 1° settembre: in quel caso il limite da considerare diventa 28.411 euro. Questo significa che, nei mesi iniziali, la soglia “utile” può essere molto più bassa di quanto si immagini guardando solo il tetto annuo.

Rinvio delle fatture e affitti brevi

Alcuni soggetti cercano di rinviare l’emissione della fattura all’anno successivo o di non sollecitare il pagamento. Questo approccio serve a poco quando ci sono incassi non rinviabili o introiti che il contribuente inizialmente non pensava di dover conteggiare, come i contributi in conto esercizio erogati da enti pubblici (regioni o casse previdenziali) che possono incidere sul totale annuo dei ricavi. Inoltre, leregole si restringono anche sul fronte degli affitti brevi.

Dal prossimo anno la presunzione dell’attività svolta in “forma imprenditoriale” scatterà per chi destina alla locazione breve almeno tre case, invece delle cinque previste oggi. Restano invece invariati i parametri della cedolare secca citati nel testo: aliquota al 21% sui canoni del primo alloggio affittato e al 26% sugli altri.

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