da Milano
«Sarebbe meglio valutare la situazione quando si vede come sta andando il G8 (che inizia oggi a San Pietroburgo, ndr), certo è che quando i mercati sentono odore di sangue, si accaniscono»: Alberto Clò, consigliere di amministrazione dellEni e docente di Economia industriale allUniversità di Bologna, è assolutamente pessimista, anche se preferisce attendere il responso delle otto nazioni più industrializzate prima di dare un giudizio più approfondito sulla corsa del greggio. Quando lo raggiungiamo telefonicamente e lo informiamo che i future del petrolio a settembre sono ormai a 80 dollari, per un attimo ha un silenzio che sembra sorpreso, poi commenta: «Se lIran chiude lo stretto di Ormuz, che è veramente stretto perché sono pochi chilometri, mancano di colpo quindici milioni di barili al giorno. Il potere negoziale di alcuni Paesi è assolutamente elevato, e questo vale per la Russia di Putin, per lIran di Ahmadinejad o per il Venezuela di Chavez. Tutti hanno dato sfogo alle loro ambizioni perché sanno che qualsiasi barile che manca non è sostituibile, in nessun modo».
«Cè una differenza sostanziale rispetto alla crisi mediorientale di trentanni fa, quando in brevissimo tempo sarebbero entrati in esercizio i pozzi dellAlaska e del Mare del Nord - sostiene Clò -, oggi ci siamo messi la corda attorno al collo con la dipendenza petrolifera, poi ci è cresciuto il collo con lo sviluppo economico e lingresso sulla scena dellIndia e della Cina, e infine i Paesi produttori hanno iniziato a stringere. Almeno lEuropa e lOccidente cercassero alternative, ma sono irresponsabilmente immobili. Trentanni fa la crisi scoppiò il 9 ottobre (Clò sembra riferirsi alla guerra del Kippur del 73, ndr), sei mesi dopo veniva varato il grande piano nucleare francese. Negli ultimi cinque anni siamo stati inondati di documenti, paper, libri bianchi dallEuropa e dagli Stati Uniti, ma nessun governo ha preso una sola decisione».
E il quadro che ne viene fuori è quello di un Occidente sciocco che non tenta neppure di togliersi il cappio: «Le politiche nazionali sono inerti - rincara la dose Clò -, lEuropa non fa spese di ricerca e sviluppo nel settore dellenergia perché è paralizzata dal timore di spendere troppo e uscire dal patto di stabilità. Così a San Pietroburgo o si opera congiuntamente o non se ne esce: a lungo termine siamo tutti perdenti. Nella crisi degli anni 70 chi produceva petrolio beneficiò di prezzi che in termini reali di oggi sarebbero a cento dollari, ma alla lunga chi è vincente oggi sarà perdente domani. Tantè vero che chi ha guadagnato negli anni 70, ha poi perso nei decenni seguenti con il crollo dei prezzi che ha avvantaggiato i Paesi consumatori. È uno scenario che rischia di ripetersi: oggi perde lOccidente, domani perderanno i produttori.
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