Il clima d’odio? Attenzione, portò al terrorismo

Se, come ha scritto Mario Giordano, è irresponsabile da parte delle istituzioni finanziarie inondarci di previsioni pessimistiche sulla recessione, sarebbe invece molto saggio premunirci tempestivamente contro le conseguenze che l’aumento della disoccupazione e della povertà potrebbe avere sulla coesione sociale, sull’ordine pubblico e soprattutto su un ritorno di fiamma del ribellismo, che negli anni Settanta produsse in Europa le Brigate rosse, la Rote Armee Fraktion e tante altre formazioni che hanno insanguinato le nostre città. Per adesso siamo fermi alle violente dimostrazioni di piazza, come quelle che continuano a sconvolgere la Grecia, la Lettonia, la Bulgaria e, in occasione del G20, la capitale britannica, ai tentati assalti alle residenze dei «cattivi banchieri» e al temporaneo sequestro dei dirigenti delle aziende che devono licenziare o sono in ritardo nel pagamento degli stipendi. Ma non è il caso di illudersi: dalle marce sulla Banca d’Inghilterra a un’operazione sistematica di saccheggio sulla falsariga del G7 di Genova il passo è breve; e se, fino adesso ai manager presi in ostaggio non è stato torto un capello, le cose potrebbero cambiare se reagissero o cadessero nelle mani di elementi particolarmente esagitati. Non è un caso che il nuovo capo dei servizi di informazione americani Dennis Blair, conscio che nonostante la popolarità di Obama milioni di persone in giro per il mondo stanno dando la colpa dei loro problemi all’America, abbia dichiarato al Senato che «la instabilità provocata dalla crisi economica globale è diventata una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti anche superiore al terrorismo».
Con il capitalismo anglosassone nel mirino, e la grande maggioranza dei Paesi europei coinvolti governati dal centro-destra, per le sinistre e soprattutto per i sindacati la tentazione di soffiare sul fuoco del malcontento è molto forte. Pochi, purtroppo, sembrano capaci di resistervi, senza rendersi conto che rischiano di fare la parte dei cattivi maestri degli anni Settanta e di rendersi corresponsabili di una eventuale deriva violenta. Per ora, sono soprattutto i sindacati francesi, in cui è forte l’influenza dell’estrema sinistra, a prendere o per lo meno ad avallare iniziative al limite della rivolta, ma anche la Cgil, con la grande manifestazione di oggi («sciopero contro la pioggia» lo ha definito Giulio Tremonti, per rimarcare la sua inutilità ai fini della soluzione della crisi) si sta avviando su una strada pericolosa, per giunta avallata anche dal Pd. I pericoli aumenteranno se il sindacato accetterà (o subirà) la partecipazione dei centri sociali e delle frange estremiste che - come abbiamo visto anche in questi giorni a Londra - non aspettano altro per entrare in azione.
È proprio all’interno di queste frange, che esistono in tutti i Paesi occidentali e che saranno ora in grado di rafforzarsi attingendo al serbatoio dei nuovi disoccupati, che potrebbero nascere gruppi decisi ad approfittare della situazione per rilanciare la rivolta armata. La rapida avanzata della recessione ha creato di nuovo un clima favorevole a una contestazione globale del sistema, alla predicazione di una specie di «vendetta sociale» contro coloro che hanno mandato l’economia in tilt e ciò nonostante si sono arricchiti, e perciò a un ricorso, più o meno metodico, alla violenza, che potrebbe trovare qualche sostegno, come sta avvenendo in Francia, anche negli ambienti più radicali dell’immigrazione. Non ci sarebbe da stupirsi, per esempio, se perfino Al Qaida, che secondo Obama sta preparando attentati in Europa, approfittasse di queste connessioni.
Se, per fortuna, i rischi per l’Italia sono per ora ipotetici, e possono essere contenuti con un’adeguata opera di prevenzione come auspica lo stesso Berlusconi, in altri Paesi - soprattutto dove gli ammortizzatori sociali sono scarsi o inesistenti - la minaccia si sta già materializzando. Sono considerate una polveriera le campagne cinesi, dove sono rientrati negli ultimi mesi - senza possibilità di trovare un impiego alternativo - milioni di operai licenziati dalle fabbriche della costa; sono a forte rischio i Paesi arabi, africani e anche sudamericani che più contavano sulle rimesse degli emigranti; e sono sotto attenta osservazione i Paesi dell’Est europeo, dove a una crescita costante del Pil negli ultimi dieci anni è subentrata di colpo una recessione selvaggia e un rischio di default.

La turbolenza aumenta ovunque, indovinare quali sbocchi politici avrà è ancora difficile: non dimentichiamoci, comunque che la depressione degli anni Trenta favorì in parallelo l’ascesa del nazismo e la diffusione del comunismo.

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