Un inverno ricco di neve che ha messo al riparo, per tutta la stagione e un pò dappertutto, gli operatori turistici, gli amanti delle settimane bianche, e gli sciatori del week-end. Ma, seppur con due inverni di fila così nevosi (sia questa che la scorsa stagione), i ghiacciai italiani continuano a soffrire, anche per i colpi inferti dal riscaldamento globale. Il quadro della situazione sulle alte vette viene delineato da Claudio Smiraglia, membro della Società glaciologica internazionale e ordinario di Geografia fisica alla facoltà Scienze della Terra all'Universiità Statale di Milano. «A decidere sulla ricostituzione di un ghiacciaio - spiega però Smiraglia - è l'andamento dell'estate che, se presenta temperature troppo alte nella prima fase, fonde le riserve e non ne permette il nutrimento». I ghiacciai, infatti, «vivono su un equilibrio tra quanto arriva nel corso dell'inverno e quanto se ne va durante l' estate». Effetti che - prosegue l'esperto - sono «ben visibili sui ghiacciai alpini»: per esempio, «il ghiaccio della Sforzellina in Lombardia registra una riduzione di spessore medio di un metro su tutta la superficie». Al di là di quello che succede nelle gole ghiacciate delle nostre montagne, dice il membro della Società glaciologica internazionale, anche per quest'anno (come nell'inverno scorso) abbiamo avuto una stagione «anomala» rispetto alla tendenza che ci parla di un aumento delle temperature medie a livello globale. Era, infatti, di pochi anni fa (fine gennaio 2007) l' allarme per le piste sciistiche a secco, per il ritardo delle nevicate e per le temperature più elevate anche di 6 gradi. Quest'anno invece le nevicate sono state, rileva Smiraglia, «maggiori a inizio stagione e un pò meno nella seconda parte, mentre l'anno scorso è stato il contrario»; ma in entrambi i casi ci sono stati benefici sulle «attività invernali» con piste innevate e impianti di risalita aperti sulle Alpi come al centro e al sud. In ogni caso - avverte l'esperto - «conta anche l'esposizione e la quota», che in questi anni, per quella dello zero termico, è salita di almeno 150 metri. Quanto ai ghiacciai - rileva Smiraglia - non c'è stata «un'inversione di tendenza. Siamo in una fase di regressione e pensare a un'avanzata glaciale servirebbero almeno 10 anni» con inverni ancora più nevosi. L'ultima avanzata del ghiaccio viene collocata nel 1965 e nel 1985 con alcune «piccole pulsazioni» (1890 e 1920) ma all'interno di una tendenza all'aumento delle temperatura che parte fin da 150 anni fa. A confermare che questi ultimi inverni si inseriscono in un contesto di anomalie climatiche, ci pensano anche i risultati di uno studio del Corpo forestale dello Stato realizzato con il dipartimento di climatologia dell'Università di Ferrara reso noto di recente: inverni più caldi e temperatura fino a un grado più alta negli ultimi anni; diminuzione del 50% di neve (con picchi precoci o tardivi a dicembre e aprile), assottigliamento del manto nevoso sull'Appennino settentrionale e sulle Alpi centro-occidentali; aumento del pericolo valanghe.
Per questo primo fine settimana di marzo, l'ultimo bollettino del servizio Meteomont della Forestale riferisce di un pericolo valanghe tra forte, in Piemonte (il penultimo grado in una scala di 5 livelli), e marcato (terzo livello) sul resto d' Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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