Il club del cuore è come la mamma: si ama per sempre

Il club del cuore è come la mamma: si ama per sempre

Non cambiare squadra del cuore. Mai. Neanche se, per colpa della squadra, rischi di dover tra­piantare il cuore con un pacemaker. È solo questo tipo di assoluta intransigenza che di­stingue un finto tifoso da un tifoso vero. Alla prima categoria appar­tiene il tifoso-infame del Bar Sport, avvelena­to nello stomaco dal ri­sentimento vigliacco contro la propria squa­dra perdente. Tifoso dalla colica facile, co­me se avesse appena mandato giù una Luiso­na (la terribile brioche scaduta descritta da Stefano Benni). Alla se­conda categoria appar­tiene il tifoso-coerente che non si fa condizio­nare dalle sconfitte, comprese le più umi­lianti (come le tre «pe­re »prese in casa dall’In­ter del piccolo Filippo contro il Bologna).

Il ti­foso-doc continua a sventolare la propria bandiera anche se il manico si spezza sul più bello. Alcolizzati di calcio cui il fine perlage del calcio­champagne interessa poco: loro bevono il nettare del proprio club anche se dal campo sgorga un vi­naccio diventato ormai aceto. Tut­to i­l contrario del bel calcio del Ve­rona di mister Bagnoli nella stagio­ne ’84-’85, della Sampdoria della coppia Vialli-Mancini nel campio­nato ’ 87-’88,del Napoli di Marado­na nel 1989. Facile tifare per loro. Troppo comodo salire sul carro dei vincitori. Il bello del tifo «per sempre» è che invece ti fa vedere lo spettacolo anche quando i tuoi campioni giocano da schifo. Non manca qualche controindicazio­ne.

Ad esempio il tifoso-a-senso­unico è, tendenzialmente, un sog­getto da prendere con le molle ( ol­tre che per i fondelli). Uno che, spesso, nega l’evidenza: quando l’arbitro regala alla sua squadra un rigore sostiene che «era sacro­santo »; ma quando l’arbitro nega un penalty sacrosanto alla squa­dra avversaria giura che era «inesi­stente ». Il tifoso-monoclub inol­tre è, quasi sempre, sprovvisto di autoironia: se a uno juventino fai una battuta su calciopoli e Moggi, lui ti risponde che tua sorella fa la prostituta. Così come se a un ne­ra­zzurro dici che l’Inter ha nel pal­mares uno scudetto di cartone, lui ribatte che tu hai un fratello gay.

Ma a ben guardare il tifo calcistico è solo una metafora di qualcosa che riguarda la vita nel suo com­plesso e- scusate il parolone-la«fi­losofia » della nostra esistenza. Es­sere pronti a cambiare casacca e bandiera, in nome di un bieco op­­portunismo, è infatti quanto di più ignobile possa accadere. Un ti­po di involuzione, però, sempre più diffuso.

Basta guardare il mon­do della politica dove imperversa il «fregolismo»: gente che cambia «vestito» passando da uno schie­ramento all’altro solo per meglio passare alla cassa. Per un tifo parti­giano i soldi non sono mai suffi­cienti.

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