Controcultura

Cocteau a caccia del suo angelo custode

Jean Cocteau è stato un poeta, saggista, drammaturgo, sceneggiatore, disegnatore, scrittore, librettista, regista e attore francese

Cocteau a caccia del suo angelo custode

Poeta, librettista, drammaturgo, attore, regista, romanziere, pittore. Forse Jean Cocteau (1889-1963) fu troppe cose per un individuo solo. O forse è proprio questa dissipazione, questa sua molteplice ricerca di una forma a fare di lui un talento inafferrabile. Amico di Picasso e Stravinskij, ma pure di pugili e di Coco Chanel, Cocteau è stato un uomo che dopo i furori della sua istrionica presenza è stato più semplice dimenticare - perché, in fondo, questo suo esibizionismo infastidiva. A sessant'anni dalla morte però, torna nelle librerie italiane, ed era assente dalla fine degli anni Ottanta, il Diario di uno sconosciuto, riproposto dall'editore Occam nella nuova traduzione di un poeta, Flavio Santi, che mette a disposizione anche il proprio, di talento, per immergersi in queste pagine multiformi, nelle quali Cocteau prova, probabilmente come non aveva mai fatto prima, a denudarsi. E lo fa sfidando soprattutto i generi, perché qui sperimenta il ragionamento filosofico, l'aforisma, si immerge in fatti di cronaca, si lascia andare al racconto, guarda in faccia la nascita della poesia. Per la difformità di queste pagine rivendica «il diritto all'artigianato spirituale» che, scrive, «rappresenta al meglio l'individualità minacciata dall'onda travolgente della pluralità massificante». Bisogna porre l'attenzione sulla parola che sigla dopo «artigianato». L'idea di una scrittura che sia soprattutto un lavoro per lo spirito ci fa comprendere, pagina dopo pagina, come Cocteau cercasse la ragione di un tormento che lo assediava. Un tormento a cui affida il nome di «angelo»: «Da dove nacque l'idea dell'angelo? E l'aspetto umano assunto da questi esseri non umani? Senza dubbio dal desiderio dell'uomo di rendere comprensibili certe forze, di vincere una presenza astratta, di incarnarla per potersi riconoscere un po', per avere meno paura». Quella di Cocteau, in tutte le sue forme, era una lotta con il mistero - che aveva sembianze cristiane e pagane nello stesso tempo. Una lotta che lo costringeva ogni volta a cambiare forma, stile, a verificare i diversi volti che quell'angelo che di lui si impossessava gli faceva assumere. Un angelo che lo costringe a guardarsi allo specchio, a recitare i suoi contenuti, «Per una figura astratta l'unico modo di diventare concreta, restando invisibile, è contrarre matrimonio con noi, riservandosi la parte più consistente, e concedendo a noi soltanto una parte infinitesimale di visibilità. Quella più disonorevole». Cocteau indossava la sua maschera in società, o quella parte di lui infinitesimale e disonorevole, per lasciare spazio a quel mistero del quale non poteva fare a meno. Ma la sua idea di incarnazione, profondamente intessuta di una religiosità soggettiva, assolutamente individualista, rifiuta ogni teoria psicanalitica, tanto che di Freud dirà trattarsi di un superficiale: «Freud è di facile accesso. Il suo inferno (un purgatorio) è alla portata della massa. Al contrario del nostro studio, esso cerca soltanto la visibilità. La notte di cui mi occupo è diversa. È una grotta dei tesori». Per il Cocteau del Diario di uno sconosciuto quell'oscurità non deve emergere, il mistero deve rimanere tale. La sua funzione è quella di una forza propulsiva, un oltraggio al pudore, una frattura alle regole, che permettono alla poesia (che va intesa come l'assoluto dell'arte) di essere. Anche correndo il rischio di non venire mai compresi. «Mai dimenticare che un capolavoro testimonia una depravazione dello spirito. (Rottura della norma). Trasformatelo in azione. La società lo condannerebbe.

Del resto è quanto succede di solito».

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