Il Colle dà una mano a Gianfranco: «Ritrovare la coesione nazionale»

RomaStesso aplomb istituzionale, stesse parole. Dal «comune interesse nazionale nei momenti il cui il Paese affronta serie prove», invocato da Giorgio Napolitano, all’«esigenza di valori unificanti e condivisi», richiamata da Gianfranco Fini, il passo è breve. Non sarà un asse, forse nemmeno un rapporto privilegiato e sotto la grande intesa ostentata da Napolitano e Fini sicuramente non ci sono complotti segreti: tutt’al più, a fare dietrologie, è il presidente della Camera che ha bisogno di cercare sponde appoggiandosi al Quirinale. Ma certo tra i due adesso c’è notevole sintonia.
Lo dimostra, anche plasticamente, la cerimonia napoletana a Castelcapuano per i cinquant’anni dalla scomparsa di Enrico De Nicola in cui la prima e la terza carica della nazione spiegano come l’Italia di oggi abbia soprattutto bisogno di unità. Per quanto infatti sia dura la lotta politica, afferma Napolitano, maggioranza e opposizione non possono «smarrire mai il senso del comune interesse generale» perché c’è bisogno «di un clima di coesione nazionale pur nella dialettica di posizioni e di ruoli». De Nicola, dice, «è stato l’uomo di due ardue transizioni, dalla monarchia alla Repubblica e dalla nascita della Repubblica alla sua costituzionalizzazione». Anche allora lo scontro era duro, ma De Nicola riuscì benissimo a cavalcare quegli anni. «Da lui ho tratto esempio nello svolgimento del mio mandato», aggiunge il capo dello Stato. Soprattutto su due punti: «Il tenace attaccamento alla necessità di un clima di unità nazionale e il rigore nell’esercizio delle funzioni, concetto quest’ultimo che si estende a ogni soggetto istituzionale», in particolare al saper «rispettare sempre i limiti invalicabili» delle proprie competenze. Insomma, il richiamo è all’equilibrio e al rispetto reciproco tra i vari poteri dello Stato e il pensiero corre allo scontro di due mesi fa tra Berlusconi e la Consulta dopo la bocciatura del lodo Alfano.
Questione di sostanza e non solo di forma, sostiene Napolitano, che ricorda «quanto De Nicola fu contestato e accusato di incorreggibile formalismo». In realtà «era correttezza e rigore nell’esercizio della prerogative». Oggi come sessant’anni fa il Colle è attestato su questa linea: «Fu colui che gettò le prime basi dell’esercizio presidenziale che avrebbe trovato pieno assestamento nel settennato di Luigi Einaudi. Posso dire che ancora oggi ci si muove lungo quella rotta. De Nicola ci ha lasciato una lezione di serena fermezza». E le tante, necessarie riforme sul tappeto rendono attuale il suo insegnamento. «Siamo arrivati al culmine del percorso, a una democrazia dell’alternanza, e abbiamo ancora molto da imparare dal suo insegnamento perché la libera dialettica di ruoli e posizioni non esclude che si riproponga, in momenti di serie prove, l’esigenza di non smarrire il senso comune.
Concetti simili li esprime pure Gianfranco Fini. «L’affermazione della democrazia dell’alternanza e la fine delle contrapposizioni ideologiche ripropongono l’esigenza di valori unificanti e condivisi essendo comunemente accettata l’idea che in un sistema bipolare ciò che unisce è altrettanto importante di ciò che divide».

Anche per lui De Nicola è un modello da seguire: «Nei quasi due anni del suo mandato, delineò uno stile ispirato all’idea della ricomposizione morale degli italiani dopo le tremende prove del fascismo e della guerra». Conclusione: «La sua costante attenzione agli interessi superiori del Paese è la via da seguire per rinnovare una coesione nazionale».

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