Andrea Cuomo e Gian Maria De Francesco
Roma Quando si tratta di commentare le parole del presidente della Repubblica nei corridoi della politica italiana serpeggia uno strano imbarazzo, quasi si trattasse di un tabù. Leader e peones, quando non riescono a sottrarsi alle domande, ricorrono a un freddo campionario di luoghi comuni: «parole sagge», «il presidente ha sempre ragione», «consigli utili» eccetera. Non fa eccezione la lettera anti-lodo Alfano: tutti sfoggiano il solito sussiego istituzionale. Ma dietro questa cortina di pudico rispetto più di un esponente della maggioranza ha vissuto l’intervento del Colle come un intervento a gamba tesa.
La prima voce fuori dal coro è quella di Gaetano Pecorella. «Il lodo Alfano - spiega - deve andare avanti, per garantire la governabilità sia al premier attuale sia a chi, speriamo il più tardi possibile, gli succederà» e, in ogni caso, «non tocca le prerogative del presidente della Repubblica». Il Parlamento, ricorda, «è la massima espressione della democrazia, è l’unico a cui possa toccare una valutazione sul comportamento» del capo dello Stato. Pecorella, infine, solidarizza con Berlusconi «perché ormai qualunque legge si faccia finisce per essere attribuita alla sua volontà».
Sulla stessa lunghezza d’onda il sottosegretario alla Giustizia, Elisabetta Alberti Casellati. «La lettera poneva un problema di carattere tecnico - afferma - perché il punto riguardante l’autorizzazione a procedere ha suscitato perplessità nel capo dello Stato, ma le sue dichiarazioni sono state strumentalizzate». Il punto è questo: l’intervento ha scoperchiato un vaso di Pandora. Ma la serenità e l’autonomia di governo e Parlamento restano intatte. «Bisogna vedere se c’è un’esigenza di correzione e poi procederemo, ma se si pensa di sovrapporre a una questione tecnica una questione politica, il discorso è diverso e ne trarremo le conseguenze», conclude il sottosegretario.
Un altro deputato che non nasconde una certa irritazione è Maurizio Bianconi. «Tutto quello che fa il presidente della Repubblica in questo Paese è legittimo. Non dimentichiamoci che abbiamo il presidente della Repubblica perché avevamo il re», ironizza. La lettera? «È un atto quanto meno singolare ma non implausibile. Ho una mia teoria politica non supportata da prove che quindi tengo per me. Ma Napolitano sta sulla terra e quindi ogni suo comportamento si inserisce in un contesto e va a influire su situazioni sensibili». E allora l’imparzialità va a farsi benedire? «Non mi faccia dire cose che non ho detto. Diciamo che anche Scalfaro si definiva imparziale ma poi si è visto quanto lo fosse». E quindi? «Quindi niente. Veda, io di Napolitano non condivido la teoria che gli viene comunemente attribuita per cui se cade questo governo si dovrebbe dare la possibilità a un altro esecutivo non supportato dalla maggioranza di cambiare la legge elettorale».
Valutazioni condivise da Giorgio Stracquadanio che ha sottolineato come si sia trattato di un’invasione di campo. «È una legge costituzionale sulla quale il Quirinale non può interferire - spiega - perciò è irrituale l’invio della lettera a Vizzini». Ma il deputato ha una spiegazione: «Napolitano ha voluto sfilarsi in anticipo da una norma che gli pare impopolare muovendo un rilievo tecnico per non esser poi tacciato successivamente di appoggiare un preciso disegno politico». E ha ottenuto due risultati: ha smascherato la «commedia degli equivoci» recitata dai finiani e «ha chiuso la partita sul lodo ancor prima che cominciasse». Una mossa tutta politica, perciò, che avrebbe potuto essere effettuata con altri strumenti: qualche indicazione alla stampa o un intervento critico di un costituzionalista «amico».
Senza la precisazione di ieri pomeriggio anche il vicepresidente dei deputati Pdl, Osvaldo Napoli, sarebbe ancora «preoccupato» perché appariva una «posizione politica». Adesso, commenta «sono più sereno anche se personalmente avrei utilizzato toni più morbidi nella lettera».
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