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Il colosseo in faccia a Prodi: allarme democratico

Cronaca fantapolitica: un atto violento contro il presidente del Consiglio scatena l’emergenza nazionale. Sotto accusa la coalizione di centrodestra

Il colosseo in faccia a Prodi: allarme democratico

Un urlo, la faccia piena di sangue, il sorriso sereno di Romano Prodi che si trasforma in una maschera grottesca. «L’hanno colpito, fascisti!», grida un uomo dell’entourage. «Portatelo in macchina, via subito», è l’ordine del caposcorta. E una giornata che era nata sotto i peggiori auspici - un premier in evidenti difficoltà che cerca con un discorso di metà legislatura di ricompattare una maggioranza bersagliata all’esterno dai centristi Fassino e Rutelli, e lacerata all’interno dall’ala radicale dipietrista - si conclude tragicamente, avvitandosi in una spirale di odio e violenza. Una violenza cieca, rabbiosa, razzista. In una parola: fascista. «Nelle fogne, tornate nelle fogne» si sgolano i ragazzi dei “Circoli dell’Ulivo”, i veri pretoriani del Professore. «Fascisti razza vigliacca, e anche froci», si lascia andare sull’onda dell’eccitazione il portavoce del premier, Silvio Sircana.

Roma, 13 dicembre 2009, piazza Venezia. Sono da poco passate le 18 quando il presidente del Consiglio Romano Prodi viene aggredito al termine del comizio tenuto davanti a una folla di oltre mezzo milione di persone, stando alle cifre fornite dagli organizzatori, circa 50mila per la Questura. L’assalitore, un noto neofascista già attenzionato dalla Polizia di Stato, subito fermato dagli uomini del servizio di sicurezza, ha ferito il premier al volto con una riproduzione del Colosseo. Lo ha colpito violentemente, istericamente e - secondo alcuni testimoni - ripetendo più volte la frase «Te la do io la liquidazione dell’Iri». Più tardi, a riprova della premeditazione del gesto, gli inquirenti gli troveranno addosso una croce celtica, un vecchio distintivo della Repubblica sociale, una copia del Giornale e un’edizione sgualcita di Militia di Léon Degrelle.
Prodi, il quale ha subito rassicurato i supporter e gli stessi uomini della scorta - «Non è successo nulla, sto bene. Il dialogo è un’opportunità per la democrazia, non è successo nulla, parliamone, serenamente» - ha riportato la frattura del setto nasale, una ferita lacero contusa al viso, la rottura dei due incisivi superiori, un profondo taglio al labbro. Non perdendo per questo il suo rassicurante sorriso: «Non è successo nulla, sto bene. Il dialogo è un’opportunità per la democrazia, non è successo nulla, parliamone, serenamente», ha ripetuto ai medici che lo hanno accolto al Policlinico Gemelli.

«Il Presidente era molto scosso. Non si è reso conto della gravità della ferita. In realtà non si è reso neppure conto di essere stato ferito. Forse non si è neppure reso conto di chi è... Ma ha reagito con energia, come fa sempre. Poi si è addormentato», è stato il primo commento del professor Alberto Clò, direttore del reparto rianimazione del Policlinico e medico curante di Prodi. «Quando l’ho visto era una maschera di sangue. Sorrideva, mi ha detto di stare sereno. Ma prima o poi la pagheranno questi fascisti di m***a», ha concluso il luminare.

Intanto dalla Questura trapelano le prime indiscrezioni. L’aggressore si chiama Adolfo Salierno, detto “er Celtico”, 42 anni, originario di Sabaudia e residente a Roma, a Colle Oppio, con numerosi precedenti penali: rissa, resistenza a pubblico ufficiale, violazione del decreto Mancino sull’odio razziale, reati contro il patrimonio, pestaggio di due extracomunitari, tentato omicidio di un pusher marocchino, accoltellamento di un tifoso israeliano durante l’incontro Lazio-Maccabi Haifa in Coppa Uefa nel ’93, nella cui occasione aveva anche impiccato sugli spalti un manichino vestito da calciatore con la stella di David sulla maglietta e un cartello al collo: «Ebrei go away». A nulla gli servì dissociarsi pubblicamente dall’azione in una conferenza stampa con i giornalisti: «È stata solo una goliardata. Se ne avessi impiccato uno vero, allora sì che sarebbe un atteggiamento da condannare».

Dirigente di Azione Skinhead e promotore del «Comitato di difesa di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro per la strage di Bologna», Adolfo Salierno è personaggio noto nell’universo neofascista romano: già espulso, da studente, dal Liceo scientifico «Augusto Righi» e in seguito temutissimo capo del Servizio d’ordine di «CasaPound», l’aggressore del Premier, secondo i primi riscontri investigativi, non ha mai dato segno di squilibrio mentale. Persona lucida e determinata con spiccate doti organizzative (sua la leadership del gruppo «Ritorno a Camelot», animatore delle cene conviviali per il centenario della nascita di Hitler), il Salierno sembra aver agito secondo una precisa strategia. «Non è l’attentato di un pazzo isolato, il gesto è il frutto del clima di intolleranza e di violenza alimentato da tempo dall’opposizione di centrodestra, un’opposizione che non accetta l’esito democratico delle urne e contesta i voti che affidano al Partito democratico la guida del Paese. La mano dell’aggressore è stata armata dai picchiatori fascisti che ancora infestano quel partito della destra estrema e xenofoba che si fa chiamare Popolo delle libertà», ha commentato con il consueto senso della misura il ministro degli Interni, Dario Franceschini. «Nel manifestare al presidente Prodi tutto il mio sostegno - gli ha fatto eco il ministro della Giustizia, Luigi De Magistris - non posso che sottolineare come certe azioni siano la conseguenza di un clima di odio alimentato dalla destra che invece di affrontare le questioni politiche in maniera propositiva non fa che scagliarsi in tutti i modi contro il governo». «Al di là della doverosa e sincera solidarietà al premier Romano Prodi - ha infine coerentemente commentato il neo vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini - non si può non rimarcare come i mandanti morali di questa aggressione siano noti a tutti. Li conosciamo bene, noi, questi fascisti schifosi!». Presente in piazza Venezia, il ministro delle Pari opportunità Rosy Bindi ha invece raccontato ai cronisti i particolari della turpe aggressione: «Ero lì per complimentarmi con Prodi per il suo discorso, all’improvviso l’ho visto accasciarsi. Credevo fosse morto. Invece dormiva. Come spesso gli capita, peraltro».

Il coro unanime di condanna fa da controcanto all’allarme di emergenza nazionale lanciato da Repubblica, uscita a tarda sera in edizione speciale con il titolo: «È guerra civile» e grande foto del momento cruciale dell’aggressione. E mentre la Cgil chiede a tutto il Paese «una maggiore vigilanza democratica», da più parti si paventano larvati segnali di un golpe strisciante. Michele Santoro in nottata è rientrato a Roma dalla Costiera amalfitana: «Dobbiamo scendere tutti in trincea», ha dichiarato con preoccupazione.
Intanto, mentre la notizia dell’agguato nazi-fascista faceva il giro del pianeta, già a pochi minuti dal fatto si scatenava l’indignazione del popolo di Internet. Su centinaia di siti web, nei blog e sui social network più frequentati, con quella velocità e senso di responsabilità che solo la Rete conosce, nascevano spontaneamente gruppi di sostegno a Romano Prodi, vittima di un infame attentato. E l’ira degli utenti, al triplice grido «Vergogna, vergogna, vergogna», si scagliava contro i facinorosi e faziosi rappresentanti dell’opposizione - il ministro ombra Sandro Bondi in testa - ritenuti i mandanti morali dell’attacco al presidente del Consiglio. Per Beppe Grillo si tratta di «un meraviglioso movimento spontaneo, la parte più bella del Paese che finalmente scende in piazza - una piazza virtuale ma immensa - per dire quello che tutti pensiamo da tempo: e cioè che questa destra ci fa schifo e gli puzzano anche i piedi». «Il centrodestra prima provoca, e poi tira il sasso. Tutti in galera!», ha scritto sul suo blog il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Antonio Di Pietro. «La libertà di parola ha un limite solo quando parlano i fascisti», ha sentenziato da parte sua il recentemente riconfermato Garante della Privacy, Stefano Rodotà. Affermazione, quest’ultima, altresì in linea con uno dei primi corsivi firmati in Rete in tempo reale, sul sito online de il Fatto Quotidiano, da Filippo Facci.

Verso sera, mentre dal Policlinico Gemelli giungono dichiarazioni rassicuranti sulle condizioni del premier da parte dell’équipe medica che lo ha in cura - «Il presidente Prodi dorme tranquillo, continuerà così per parecchio. Almeno, si spera» - proseguono senza soste le visite al degente da parte di alte personalità del mondo politico. Tra i primi a recare il proprio saluto e gli auguri di pronta guarigione al presidente, l’amico Clemente Mastella, a cui Prodi è da sempre particolarmente legato per il sostegno che il suo governo ha più volte ricevuto da parte del fedele leader dell’Udeur. Tra gli ultimi, e di certo il più atteso, giunto a tarda sera perché trattenuto al Quirinale da improrogabili impegni istituzionali, il presidente della Repubblica, Silvio Berlusconi. «Lo sapevo. Hai tirato troppo la corda: c’è troppo odio su di te, Romano», sembra abbia sussurrato il Capo dello Stato al presidente Prodi.

«A me, che la gente mi vuole bene, non sarebbe mai successo».

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