Coltelli, internet e rapine Gli agguati dei «latinos» ora colpiscono nei metrò

L’agguato si svolge generalmente nel giro di pochi secondi, in qualche parchetto o mezzanino di metrò, quattro o cinque «latinos» circondano le vittime, mai più di un paio, per scoraggiare reazioni. Minacce, spinte, qualche volta viene anche sfoderato un coltellaccio e poi via con pochi spiccioli, il cellulare, qualche capo di moda. La descrizione di questi baby rapinatori è sempre uguale: adolescenti, vestiti hip hop, colorati, pesanti monilli, pantaloni larghi a vita bassa, cappellino da baseball. «Pandillas» insomma. Gli episodi ormai si rincorrono con una frequenza esasperante, segnando un altro nuovo cambiamento di pelle delle gang sudamericane. Sempre più aggressivi, ormai iniziano a colpire, a differenza del passato, anche gli italiani.
All’inizio infatti c’erano i «Latin Kings», nati nel 1940 a Chicago, che accoglievano giovani dell’Ecuador, Perù, Porto Rico e Repubblica Dominicana. Poi uno dopo l’altro sorsero i «Commando», peruviani, «Trinatarios», dominicani, «Mara Salvatrucha», salvadoregni, rigidamente divise per etnie. In città sono arrivati a fine degli anni ’90, con i figli delle prima ondata migratoria dal Sud America. Perfetti cloni dei pandilleros americani, con distinti colori, tatuaggi e riti di iniziazione, feroci pestaggi seguiti dalla prima rapina sotto gli occhi dei «grandi». In comune l’età, attorno ai 15 anni, la violenza, il controllo del territorio, quartieri, strade o parchi da disputarsi a colpi di coltello, i piccoli reati, sempre ai danni della comunità latina. La questura ne capì subito la pericolosità e creò una sezione specializzata per contrastarle. E all’inizio degli anni Duemila i «Latin Kings» vennero colpite pesantemente e sparirono dopo l’arresto dei loro capi.
Ma a distanza di dieci anni il fenomeno ha cambiato pelle. A cominciare dai nomi. Negli ultimi mesi sono apparsi i «Chicago» e i «Forever», promanazione dei vecchi «Kings» e poi ancora «Latin Dangerz», «Los Brothers», «Los Diamantes», «Aspromonte crew», «Trevor», «Latin Revolution» e «Latin flow». Bande piccole, talvolta pochi individui, in perenne magmatico movimento, con alleanze che di si creano e si disfano nel giro di settimane. L’affiliazione non avviene più per nazionalità, ma in modo più causale e può capitare di trovare mischiate diverse etnie, qualche volta con l’aggregazione di africani, asiatici, italiani. Non hanno aree da prendere, controllare e difendere, in quanto troppo pochi e troppo dispersi nel territorio. Quindi usano internet per darsi appuntamento, lanciarsi sfide, filmare e mettere in rete i video delle proprie bravate. Terreno di scontro le metropolitane, con cui si spostano per apparire, colpire e sparire, con grande rapidità.
Attualmente le nuove pandillas aggregano tra i 200 e i 300 giovanissimi. Il loro obiettivo non è più lo scontro tra bande, ma la predazione in una città, una sorta di riserva di caccia. Iniziando a colpire, fenomeno relativamente recente, non più o soli membri della comunità ma qualsiasi adolescente, italiani compresi. Ma si tratta di bravate più che di vere e proprie attività delittuose per arricchirsi o aumentare il prestigio della gang. Per questo parallelamente al diffondersi, e polverizzarsi di sigle, nel panorama «latinos» sta prendendo sempre più piede la più pericolosa e violente della gang, quella dei Mara Salvatrucha, divisi nei due gruppi Ms13 e Ms 18, spesso in lotta tra di loro.

Non molti, una quarantina in tutto, appaiono i più legati ai vecchi schemi: meno vistosi, non invadono le metropolitana e parchi con le loro scorribande, raramente colpiscono fuori dalla comunità. Ma sono i più pericolosi. Hanno organizzato piccoli traffici, furti, ricettazione e spaccio. Quando attaccano usano coltelli e machete, fanno male. E qualche volta uccidono.

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