La manovra di circa 42 miliardi che occupa la discussione in questi giorni merita riflessioni molto più approfondite di quelle correnti su Berlusconi presunto non rigorista versus Tremonti, vestale del rigorismo.
Occorre ponderare bene tre punti. Il primo è che una manovra che vale il 2,5% Pil (prodotto nazionale) da detrarre dalla nostra economia, nel triennio 2012 -2014, è una operazione invasiva deflattiva della dinamica del sistema di mercato. Va dosata con cautela per molte ragioni. La prima è che essa si aggiunge a quelle precedenti, di riduzione del deficit, dal 5% nel 2009 al 4,6 nel 2010, al 3,8 nel 2011 e al 2,7 nel 2012, di 2,3 punti di Pil in 3 anni: fatte con tagli orizzontali di spesa, mentre la pressione fiscale rimaneva invariata e poche imposte sono state attenuate. Si è fatto «di necessità virtù». Berlusconi ha sorretto la manovra di Tremonti facendola digerire al governo, alla maggioranza, al Paese.
La seconda ragione per cui questa nuova maxi manovra va studiata con cura è che a contrastare il suo effetto deflattivo cè quasi solo la dinamica del nostro commercio estero, sino ad ora sospinta dallalta crescita della Germania e dei paesi emergenti le cui dinamiche si stanno attenuando. Gli investimenti in infrastrutture e nelledilizia non hanno agito da sostegno alla domanda, a causa dei veti (delle sinistre autolesioniste) alle politiche per la casa e delle infrastrutture.
La terza ragione di cautela è che la nostra economia in cui si inietta questa deflazione, non ha potuto beneficiare della spinta allinvestimento derivante dai nuovi contratti aziendali fermi al palo, con controversie Cgil presso la magistratura. Il vento delle liberalizzazioni è stato afflosciato dai referendum contro la privatizzazione nei pubblici servizi locali. Occorre, dunque, cautela e spalmare la manovra deflattiva nel tempo, onde calibrarla al peso che l'economia può sopportare e accompagnarla con tonici del mercato come la quotazione in borsa di Ferrovie spa e tonici fiscali. Laccelerazione dellaumento graduale nel tempo delletà di pensione è un messaggio di rigore più efficace che una «stangata» immediata relativa al 2014, anno post elettorale che competerebbe ai governi di allora confermare. E passo, perciò, al secondo punto. Bisogna evitare una politica di puri tagli orizzontali, basata sul diktat per cui il rigore si fa solo così, perché agli effetti negativi di riduzione della domanda pubblica non vanno aggiunti quelli di diminuzione dellefficienza della spesa del governo, soprattutto verso la crescita. Solo se i ministri non fanno proposte alternative, devono andare in vigore i tagli orizzontali. Analogamente fermo il traguardo quantitativo della manovra, il governo deve accettare che il Parlamento collabori a miglioramenti.
E vengo al terzo punto, il più delicato, che riguarda i tributi. Si ventila un aumento della cedolare sulle rendite finanziarie dal 12,5% al 23%, escludendo il debito pubblico. Ogni punto di aumento vale 300 milioni. Una maggior cedolare del 10% che riduce interessi e utili del 10% genera potenzialmente una riduzione della stessa percentuale delle azioni e obbligazioni. Se si deve cedere alla demagogia della maggior tassazione del risparmio di fronte a una crisi dovuta a carenza di risparmio, si cerchi di contenere il danno al minimo. E si faccia un aumento di 5,5 punti al 18%. Quanto allaumento al 33% dellaliquota contributiva sui «precari», che renderebbe 300 milioni serve ad affossare la legge Biagi e graverebbe sui giovani e gli anziani con contratti flessibili. Mira (in teoria) ad aumentare la loro pensione, ma i giovani hanno molti anni davanti per farsela, gli anziani la hanno già; e molti di questi contratti riguardano un doppio lavoro, di chi ha diritto a unaltra pensione; 300 milioni si possono prendere tagliando la spesa di un miliardo per le intercettazioni. È assurdo che mentre si discute di ridurre le imposte, si pensi ai aumentarle.
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