Il commento Marchionne, il manager che la politica non gestisce

È la prima volta, dal 2004 a oggi, che sull’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, si abbatte un vero tornado. Nulla di paragonabile ai temporali che hanno accompagnato in questi anni il suo rilancio del Lingotto. Quello di Termini Imerese è diventato ormai un caso politico. E, torto o ragione che abbia, Marchionne in questo periodo sta provando sulla propria pelle quanto l’Italia sia distante dagli Stati Uniti, quanto il dialogo con i sindacati sia profondamente diverso tra le due sponde dell’Atlantico, e come all’interno del suo Paese, la Fiat continui a essere guardata con sospetto. Ogni occasione di contrasto, infatti, finisce sempre con il solito ritornello: sono anni che il gruppo che fa capo alla famiglia Agnelli «succhia» risorse dallo Stato, tra cassa integrazione, incentivi e favori vari. E anche se con la gestione Marchionne la Fiat ha realmente voltato pagina, sul Lingotto aleggiano sempre i vecchi preconcetti.
È in questa direzione che il top manager, al quale viene anche rimproverato di essere troppo distratto dalle vicende americane, dovrà ancora lavorare. Torino e Roma non sono Detroit e Washington, e difficilmente vedremo un Gianni Rinaldini (Fiom) o un Guglielmo Epifani (Cgil) abbracciare pubblicamente il capo della Fiat, come invece hanno fatto i leader del sindacato metalmeccanico americano Uaw. Al di là della naturale contrapposizione tra il padrone e il sindacalista, i rappresentanti dei lavoratori italiani è forse la prima volta che si trovano di fronte a una persona non legata a doppio filo con i palazzi.
Marchionne, a differenza di altri, ragiona con la sua testa, e non accetta imposizioni o compromessi. È lontano, insomma, dalla politica e dai giochi di potere. E anche sulla spinosa vicenda di Termini Imerese la situazione, dal suo punto di vista, non cambierà di una virgola. «La Fiat - ha ribadito ieri parlando a Detroit - è un’azienda e ha le responsabilità di un’azienda. Siamo il maggiore investitore in Italia, ma non abbiamo la responsabilità di governare il Paese. È un imperativo di ogni società assicurare che i bisogni umani siano soddisfatti, ma non si possono forzare le industrie a farlo». È il messaggio secco e chiaro di un uomo che ragiona in termini globali. Marchionne, insomma, non è il solito interlocutore sia per sindacati sia per chi governa il Paese. Quindi, un osso duro. Tra i tanti ritratti sul suo conto, in uno il capo della Fiat viene descritto un «marziano». Non siamo così distanti dalla realtà.

Il «borghese che mi interessa», come ne parlò Fausto Bertinotti, o «il modo corretto di interpretare la funzione di dirigente industriale», come disse tempo fa, riferendosi al lavoro svolto da Marchionne, il leader della Cgil, Epifani, fanno parte di un’altra epoca.

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