Leggi il settimanale

Il commento Un popolo di sorvegliati

di Matteo Mion

Siamo un popolo di intercettati: i numeri sono impressionanti. Nel 2007 nel nostro Paese sono state effettuate ben 124.845 intercettazioni telefoniche su ordine delle procure al costo medio cadauna di euro 1.784 e al costo complessivo per l’amministrazione della giustizia di 224 milioni di euro.
Nel 2005 il numero di telefoni sotto controllo in Francia è stato di 20.000 e negli Usa di 1.705: per ogni intercettato statunitense, ce ne sono decine di centinaia italiani, l’orecchio occulto della Procura della Repubblica snocciola cifre da allarme sociale. Spese da capogiro che gli italiani, in periodo di vacche magre, sono costretti a sopportare per conoscere le chiacchiere di coloro che il pm di turno decide di passare al setaccio. Dai politici ai dirigenti calcistici, dall’ex governatore della Banca d’Italia alle mignotte, da Bertolaso agli imprenditori che hanno ricostruito L’Aquila. L’iter del tritacarne giudiziario è oramai prestabilito: individuazione meticolosa e mirata del personaggio da colpire con esatto calibro temporale (possibilmente sotto elezioni se trattasi di politico di centrodestra), intercettazioni, costruzione dell’impianto accusatorio e relativa fuga di notizie al quotidiano amico, avviso di garanzia e processo mediatico con richiesta di dimissioni. Le sentenze? Quisquilie che arriveranno a sputtanamento bello e fatto. Non è un procedimento speciale previsto dal codice di procedura penale, ma una nuova consuetudine delle procure.
In Italia vi è una distorsione assoluta nell’utilizzo di questo strumento d’investigazione giudiziaria: le intercettazioni, infatti, non vengono disposte a seguito della notitia criminis, bensì sono le medesime a costruire la notitia criminis. Anzi, si è andati oltre: il contenuto di una telefonata controllata è oramai divenuto elemento costitutivo di un reato, salvo prova contraria. Il gioco è facile perché l’intercettazione svilisce l’indagine sull’elemento psicologico del reato: una chiacchierata via filo, infatti, non permette di cogliere l’animus, la reale volontà degli interlocutori. Non può essere la sola intercettazione l’elemento giuridico su cui qualificare una violazione della legge: l’investigazione telefonica può essere coadiuvante nella ricostruzione dei fatti, ma non può essere essa stessa strumento identificativo del fatto-reato.
L’incriminazione, fondata sull’interpretazione da parte di un procuratore di uno scambio di parole, diventa così un meccanismo giudiziario agli antipodi della certezza del diritto. Domando: far pubblicare dai quotidiani e dai telegiornali la «ripassata» di cui parla al telefono Bertolaso è un atto politico o giudiziario? Che rilevanza penale hanno le abitudini piacevoli o meno degli individui?
Alla faccia dell’obbligatorietà dell’azione penale mai come nel rinvio a giudizio a seguito di intercettazioni telefoniche la discrezionalità del procuratore è dirimente: a questi sta interpretare l’animus dei colloquianti.

Un’altra cosa è certa: le telefonate non possono stravolgere l’assetto istituzionale di una nazione come già accaduto con Fazio, con la telenovela mastelliana e ora quella di Bertolaso.
L’utilizzo spregiudicato e i costi delle intercettazioni vanno urgentemente limitati per legge.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica