Il commento / Quei liberisti a intermittenza

La risoluzione del contratto che legava Michele Santoro a viale Mazzini ha fatto esplodere in pieno la contraddizione della Rai. Un mostro a due teste: servizio pubblico pagato dai cittadini col canone e al contempo azienda in competizione sul mercato

La risoluzione del contratto che legava Michele Santoro a viale Mazzini ha fatto esplodere in pieno la contraddizione della Rai. Un mostro a due teste: servizio pubblico pagato dai cittadini col canone e al contempo azienda in competizione sul mercato.

Nei commenti di ieri, si notava uno strano doppiopesismo. La Rai è servizio pubblico, e come tale va tutelato dalla faziosità, se i partigiani militano, a esempio, al Tg1 o conducono Radio Londra. In questi casi, la rimozione è un obbligo cui adempiere al fine di tutelare l’imparzialità dell’informazione. La Rai è invece un’azienda sul mercato, e come tale va tutelato il conto economico, se il partigiano Santoro decide di levare le tende per piantarle altrove. L’addio consensuale, con tanto di ricca buonuscita per il conduttore, andava evitato a tutti i costi perché l’emittente di Stato perderà share e relativi incassi pubblicitari. E l’imparzialità dell’informazione? Non pervenuta.

Le due tesi, pur in contrasto, sono sostenute contemporaneamente dalle stesse persone e dagli stessi partiti, da Sinistra e libertà all’Italia dei Valori passando per il Partito democratico. Ebbene sì, proprio comunisti ed ex comunisti, di colpo diventano paladini del mercato, lamentando, come fa Giorgio Merlo del Pd, la «doppia beffa», ovvero perdere una trasmissione da 20% di share e i relativi «ingenti investimenti pubblicitari».

Non fanno eccezione i giornali. Il Manifesto di Norma Rangeri, dopo aver definito la decisione un favore al presidente del Consiglio, si dilunga sul danno sofferto dalle casse dell’azienda. Curzio Maltese, su Repubblica, nota che la Rai da tempo non fa servizio pubblico, essendo asservita al potere berlusconiano, quindi resta solo da registrare il danno economico subito causa rinuncia ad Annozero. Qualcosa non torna: se Minzolini confeziona un «notiziario Luce» cosa ha confezionato Santoro per anni e anni? E cosa confezionano settimanalmente Floris, Fazio, Annunziata, Gabanelli? L’informazione Rai è schierata, come dice Maltese: ma le voci di sinistra prevalgono. Sul Corriere della Sera Aldo Grasso sottolinea da una parte la disinvoltura intellettuale con cui Santoro si atteggia «a ideologo unico» e dall’altra l’autolesionismo dimostrato nel rinunciare a uno che fa incassare palate di denaro. E così siamo tornati al vizio d’origine: la natura ibrida della Rai.

Come rimedio alle news poco equilibrate, c’è chi propone di inventare un Santoro di destra, confondendo pluralismo e lottizzazione. Proprio l’equivoco che consentì ai partiti di impadronirsi di tre canali, ingessando l’intero sistema televisivo. La soluzione sarebbe nel mercato.

Chi avrà il coraggio di aprire le porte alla concorrenza (al pluralismo) dopo aver ridefinito il ruolo della Rai, privatizzandola (e aprendo la strada alla risoluzione del conflitto d’interesse)? Nessuno, ormai è chiaro. Forse, però, la forza anarchica della rivoluzione digitale renderà obsoleti questi problemi. Presto lo sapremo.

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