Il commento Il triciclo di Casini

Con rispetto parlando, come ancora si dice nelle campagne toscane, Pier Ferdinando Casini può essere paragonato a una bella donna frigida. A dritta e a manca suscita desideri, passioni, perfino amori. Ma per nessuna ragione al mondo si concede. Almeno per ora. Che sia corteggiato, si può capire. Ormai le elezioni regionali battono alle porte, e il soccorso dell’Udc in qualche caso può far pendere la bilancia da una parte o dall’altra. Ma anche le orecchie da mercante del sullodato Casini hanno la loro brava spiegazione. Che diamine, primum vivere, deinde philosophari. All’Udc non basta sopravvivere. Prima deve crescere e poi, se la ciambella riesce col buco, può permettersi di filosofeggiare.
Già, ma come crescere? Ecco il problema. La strategia dell’Udc è presto detta. Sta al centro in attesa che spezzoni del centrosinistra (Rutelli e i suoi cari già dati in arrivo) e magari del centrodestra (pura illusione) raggiungano Pierfurby sulla riva del fiume. Perciò è altamente probabile che in previsione delle regionali l’Udc non si sbilanci. Al pari di una vera signora, dice no per dire forse. Ma alla fine, vedrete, scimmiotterà il vecchio Cairoli: farà la politica delle mani nette. E non già per masochismo ma, al contrario, per convenienza. Solo più in là, ammesso e non concesso che riesca ad aumentare strada facendo, il partito chiederà la prova d’amore.
Casini prometterà di allearsi con quella delle due coalizioni che gli garantisca l’abbattimento del Porcellum, ovverosia dell’attuale legge proporzionale corretta dal premio di maggioranza, e il ritorno alla proporzionale pura con tanto di preferenze. E qui entra in gioco la «filosofia». La bestia nera dei centristi è da sempre il bipolarismo. Perché così una terza forza schierata al centro, né di qua né di là, può contare poco o niente. E il bipolarismo è stato possibile grazie al sistema elettorale maggioritario. Insofferente della sartoriana bicicletta del bipolarismo, Casini sogna il triciclo di un centro che di volta in volta civetta con l’uno o l’altro fronte. Com’è accaduto da noi per un secolo e mezzo.
Si dà il caso che Berlusconi la prova d’amore, almeno questa, a Casini non la può dare. Se il premier si acconciasse a ripristinare la proporzionale, rinnegherebbe se stesso, fondatore del bipolarismo, e si alleerebbe con un soggetto politico che ha bisogno come il pane dell’andreottiana politica dei due forni. Di qua o di là per puro egoismo. Mai matrimoni d’amore, ma solo d’interesse. Se a capo del Pd fosse ancora Veltroni, la prova d’amore non l’avrebbe mai data. Novello De Coubertin, per lui l’importante era gareggiare. Credeva sul serio alla vocazione maggioritaria del suo partito, salvo poi mettersi la corda di Di Pietro al collo e suicidarsi. Ma D’Alema, il vero vincitore della marcialonga del Pd, è di tutt’altra pasta. Per lui l’importante è vincere.
Testa fine, D’Alema la è sempre stato. Fin da quando era alto un soldo di cacio. Pensate, a un congresso di partito non si accontentò di porgere un mazzo di fiori a Togliatti. No, volle improvvisare un discorso così sensato da lasciare di stucco il Migliore. Che rivolgendosi ai vicini esclamò: «Ma questo non è un bambino, è un nano». D’Alema si rende conto che la sinistra in Italia è stata sempre minoritaria. Per averla vinta ha bisogno di una sagace politica delle alleanze e di competere con Berlusconi per interposta persona. Grazie alla condiscendenza di un cattolico più o meno adulto. Come Prodi, l’inventore dell’Ulivo, non a caso resuscitato proprio adesso. O un domani come Casini, che oggi dice no a ragion veduta.

Perché i suoi elettori non lo seguirebbero e perciò è come se si buttasse in una piscina vuota. L’unica stranezza in tanto bailamme è che D’Alema sorvoli su quanto ammoniva il vecchio Marx: la Storia si manifesta una prima volta in tragedia e una seconda in farsa. Ecco, siamo alle comiche finali.

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