Nell'Africa australe c'è una intera nazione che muore, e il resto del mondo sembra incapace di impedirlo. Nello Zimbabwe del despota Robert Mugabe, due terzi dei dieci milioni di abitanti sopravvivono ormai solo grazie ai sussidi alimentari dell'Onu, 16mila si sono ammalati e oltre mille sono morti di colera, la peggiore inflazione della storia ha azzerato il valore della moneta tanto che, proprio ieri, il governo ha emesso una banconota da 10 miliardi. La disoccupazione è all80%, le strade sono piene di mendicanti, scuole e ospedali sono quasi tutti chiusi, i negozi vuoti, i servizi hanno cessato di funzionare. La scorsa estate Mugabe, 84 anni, al potere da quasi un trentennio, è riuscito egualmente a farsi rieleggere alla presidenza dopo che il suo avversario, Morgan Tsvangirai, è stato costretto a ritirarsi dal ballottaggio da un'ondata di violenze contro i suoi sostenitori, e da tre mesi resiste pervicacemente all'invito rivoltogli dagli altri capi di Stato africani a formare un governo di unità nazionale. Alle reiterate richieste di dimissioni ha appena risposto con un lapidario: «Lo Zimbabwe è mio, e non lo cederò mai». A chi lo accusa di avere depredato e rovinato uno dei Paesi più prosperi dell'Africa, risponde che la colpa è delle potenze imperialiste, che hanno voluto vendicarsi dell'esproprio delle terre dei bianchi. A chi gli rimprovera l'epidemia di colera, replica che è stata provocata da un attacco batteriologico della Gran Bretagna.
I leader della Comunità di sviluppo dell'Africa australe, comprendente i 15 Paesi dell'area, sono in allarme: hanno già dovuto assorbire quasi quattro milioni di profughi, temono che anche le loro popolazioni vengano contagiate e si rendono conto che la vicenda nuoce gravemente a tutto il continente, ma non osano interferire, un po' perché non ne hanno la forza, un po' perché Mugabe è ancora circondato dall'aura di eroe della guerra di liberazione. Ce ne sarebbe abbastanza per invocare una «ingerenza» sul modello del Kosovo, ma in questo momento l'Occidente ha altro da pensare e comunque non vuole esporsi ad accuse di neocolonialismo. Nonostante le sue spaventose responsabilità, del resto, Mugabe non sarebbe tanto facilmente scalzabile: nel corso degli anni si è circondato di una cricca di fedelissimi che occupano tutte le posizioni di potere e mantiene tuttora l'appoggio sia della polizia, sia dei quadri delle forze armate, responsabili delle sistematiche persecuzioni degli esponenti dell'opposizione e degli attivisti dei diritti civili.
Da qualche settimana, tuttavia, questo apparato di potere sembra scricchiolare: ci sono stati prima un ammutinamento di un centinaio di soldati e poi un misterioso attentato contro il comandante dell'Aeronautica Perence Shiri, uno dei maggiori responsabili delle repressioni. In mancanza di un intervento esterno, si spera perciò che il regime finisca col crollare per cause interne, e che quello che era una volta il granaio dell'Africa possa essere salvato dal disastro.
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