nostro inviato a Cannes
Si può recensire e/o criticare un film che racconta la storia di un uomo paralizzato dalla testa ai piedi, il cervello che ancora funziona, ma lo sbattere delle ciglia come suo unico strumento per comunicare con il mondo? Siamo qui che usciamo dalla sala dove Lo scafandro e la farfalla è stato appena proiettato e abbiamo tutti gli occhi rossi. La vicenda è straziante e la sua resa sullo schermo a tratti insopportabile. Il dolore, la sofferenza ci rendono più umani, si dice, e probabilmente è vero. Ma perché dovrebbe essere questo il tratto saliente del nostro essere uomini? E fino a dove, fino a quando questa sopportazione ha un senso?
Lo scafandro e la farfalla non è un'opera di fantasia. Dieci anni fa Jean-Dominique Bauby, firma di punta del settimanale di moda e attualità Elle, ebbe un malore su una strada della campagna francese: era alla guida della sua nuova spider superlusso, aveva a fianco il primogenito dodicenne, in programma una cena a base di frutti di mare e uno spettacolo teatrale. Quarantenne, non sposato, tre figli ancora piccoli, la loro madre lasciata da un anno per un nuovo amore, Bauby era quel che si dice un giornalista e un uomo di successo: un certo potere, una buona posizione economica, una vita sentimentale intensa, il cinismo necessario perché nulla intralciasse il tutto. Il malore che lo colpì, lasciandogli appena il tempo di accostare l'auto e fermarsi, si chiamava locked-in syndrome, rarissimo e per il quale non c'è una spiegazione medica: un incidente vascolare e cerebrale che lo fece piombare in un coma, uscito dal quale niente rispondeva più ai suoi comandi, via la parola, via le capacità motorie, murato vivo all'interno del proprio corpo morto, unica finestra l'occhio sinistro, il suo aprirsi e chiudersi come sola testimonianza.
Nell'anno e due mesi che Bauby trascorse in un ospedale specializzato, egli trasformò, grazie a una sorta di alfabeto muto nesso a punto da una ortofonista, il suo calvario in un libro, Lo scafandro e la farfalla, appunto, ogni lettera di ogni parola scelta attraverso una specie di dettatura delle ciglia: un battito se era quella giusta, due se era quella sbagliata... Morì pochi giorni dopo la sua pubblicazione, fece in tempo a farsi leggere le prime critiche positive, accarezzò l'idea di poter andare in televisione a presentarlo...
In dieci anni il libro ha venduto più di un milione di copie ed è stato tradotto in una ventina di lingue e in fondo Bauby scoprì che poteva essere uno scrittore nel momento in cui si accorse che non poteva più essere, semplicemente. Prima dell'incidente aveva firmato un contratto per un rifacimento moderno e al femminile del Conte di Montecristo di Dumas. «Non avrei dovuto farlo - dirà nello Scafandro e la farfalla - non si gioca con i capolavori, e questa è la punizione». Era ironico, sapeva non prendersi, nonostante tutto, sul serio.
Girato da Julian Schnabel, pittore di fama e già regista di Basquiat e di Prima che sia notte, Gran premio della Giuria alla Mostra di Venezia del Duemila, interpretato da Mathieu Amalric nel ruolo principale, Lo scafandro e la farfalla è, stando al regista, «la storia di ciascuno di noi confrontato alla malattia e alla morte, ma anche un modo per riflettere e prendere quella morte nelle proprie mani. Per certi versi racconta anche la vita di un artista, perché è la scrittura che salva Bauby dalla disperazione. La sua interiorità si anima nel momento in cui lo scrivere gli dà la ragion d'essere, lo riporta alla famiglia, permette a quest'ultima di trasformare il dolore in ammirazione, lascia il ricordo di un combattente».
Girato nell'ospedale di Berck, nel Pas-de-Calais, dove Bauby fu ricoverato, il film cerca di evitare il più possibile la pornografia del dolore. «Una delle cose più affascinanti di quest'uomo è la dignità, e ho cercato di rispettarla, di restarle fedele e quindi di mantenere una distanza, evitando ogni compiacimento. Il mio mestiere di artista, di pittore, mi ha anche aiutato a rendere quell'insieme fra realtà e fantasia che fu il tratto saliente di quella degenza, la memoria e l'immaginazione come unica possibilità di fuga dallo scafandro in cui era imprigionato». All'origine il protagonista sarebbe dovuto essere Johnny Depp. «Siamo amici, era molto interessato, non siamo riusciti a far coincidere i tempi.
Lo scafandro e la farfalla si apre e si chiude con la voce di Charles Trenet che canta La mer, ed è struggente quanto la storia che racchiude.
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