Comune in retromarcia: «Niente case ai rom se vuole ci pensi la Curia»

Scavare tra gli alloggi del Pio Albergo Trivulzio, del Policlinico, di fondazione come la Cariplo, bussare anche alla porta di immobiliaristi privati (vedi Ligresti). E soprattutto, dopo i continui appelli del cardinale Tettamanzi all’integrazione, sondare se nel patrimonio della Curia, frutto di lasciti, c’è posto anche per i rom. Per sistemare le 25 famiglie del campo nomadi di Triboniano che - è confermato - verrà chiuso entro fine ottobre, ogni strada è aperta. Tranne quella che ha già sollevato un polverone e l’avviso di sfiducia all’assessore ai Servizi sociali Moioli: «I rom non entreranno in nessun alloggio dell’Aler o del patrimonio comunale» per inciso «neanche nelle case confiscate alla mafia». Il ministro Maroni ha chiuso senza altre ambiguità la vicenda diventata un caso nazionale. Ieri al vertice in prefettura con il sindaco ha precisato che «Milano ha fatto più di quanto non stiano facendo Roma e Napoli, quello che si sta realizzando è un modello che intendo portare a livello europeo». Ma Triboniano ha i giorni contati e «chi sta dentro verrà sistemato se ne ha diritto, gli altri dovranno rimpatriare». Niente case pubbliche, una «scelta politica saggia. Non si risolvono i problemi creandone altri, la soluzione individuata ha tenuto conto di tutte le sensibilità, anche di chi crede che prima debbano venire i milanesi».

E a don Colmegna che anche ieri puntava i piedi («abbiamo già firmato le convenzioni per 11 famiglie, non bastano le dichiarazioni per fermare questo percorso») suoneranno come un avvertimento le parole di Maroni alla Moratti: «In altre città, compresa Roma, i campi li gestisce la Croce Rossa. Milano non sia ostaggio del terzo settore».

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