Continua il ciclo di interviste de ilGiornale.it per celebrare la fine delle barriere in Occidente a vent'anni dalla caduta del muro di Berlino. Dopo aver intervistato l'assessore milanese alla Cultura, Massimiliano Finazzer Flory, che aveva celebrato l'89 come "la fine delle ideologie del Sessantotto", oggi siamo andati a sentire il parere di Pietrangelo Buttafuoco che ha recentemente pubblicato il saggio Cabaret Voltaire.
Milano - "In termini commerciali non si può certo dire che la cultura sta male". Pietrangelo Buttafuoco snocciola un po' di dati, racconta di un’inchiesta che sta portando avanti per Panorama e, con entusiasmo, enumera i dati di una cultura che, in piena crisi ha fatto segnare incassi su tutti fronti.
Ma, se va davvero tutto bene, perché fior fiore di intellettuali gridano alla morte della cultura?
"Perché, evidentemente, non si sentono bene con loro stessi. Laddove c’è la possibilità di organizzare un’offerta culturale, i risultati si vedono. Me ne rendo conto con la mia terra: la Sicilia potrebbe diventare ancora più forte nell’ambito di un’offerta di servizio sfruttando la capacità culturale legata alla propria identità e alla propria storia. Proprio in questi giorni in cui Baricco ha scatenato il dibattito sui fondi ai teatri, si sono registrate 150mila presenze nella stagione dell’Istituto nazionale del dramma antico. Al Nord è lo stesso. Non dimentichiamo i ripetuti successi incassati da festival come quello di Mantova."
Quindi: niente crisi della cultura?
"Di morte della cultura possiamo parlare solo quando ci troviamo davanti all’aspetto conformistico e appecoronamento che non si preoccupa mai di fare una ricerca critica e stanare l’originalità e la genialità. E proprio alla genialità dovremmo dare un po’ di più spazio proprio quest’anno che corre il centenario del Futurismo. Bisogna favorire e fortificare il genio nella creazione, nell’invenzione e nella ricerca."
L’anno scorso si è celebrato il quarantennale del ’68. La sinistra ha sfoggiato una certa nostalgia di quel modo di fare cultura. Eppure a una certa fetta di italiani non dice più nulla.
"Non dice più nulla. Però il ’68 è l’ideologia della gerontocrazia italiana. In Italia il potere non ha mai avuto un radicamento spirituale: la baggianata della Resistenza e della Costituzione non può costituire seriamente una nervatura di identità, ma la ha determinata il Sessantotto attraverso sfumature cosmopolite, fascinazioni edonistiche, sollazzi e ricreazioni che partecipavano allo Spirito del tempo. Proprio questa ideologia regge, ancora oggi, le sorti di un Paese tutto sommato periferico come l’Italia che non fa altro che scimmiottare quello che, altrove, è solo una moda culturale."
Ma cos’è questo benedetto Sessantotto?
"Quello del ’68 è un tabù stupido e ridicolo. Non solo ha determinato lo sfascio dello stile e della capacità morale della elite, ma ha anche distrutto la conoscenza e la gnoseologia. La sola cosa che ci ricorderà il ’68 è stata la guerra al nozionismo: una ridicola guerra alla poesia a memoria! Tutti sappiamo che, se solo togli una virgola al Padre nostro, può cambiare l’intero senso della preghiera. E', però, un atteggiamento e uno schema che appartiene a una tribù residuale, inutile e perduta della vecchia, vecchissima elite italiana."
Da anni la sinistra ha una sorta di predominio sulla cultura. Per quale motivo?
"E continuerà ad averlo ancora. In Italia, sicuramente. Potrà esserci ancora per cent’anni Berlusconi e il berlusconismo, ma il fonte battesimale della legittimità sociale sarà sempre nelle mani della sinistra."
Colpa della Destra o degli italiani in genere?
"Beh, gli italiani hanno un istinto conformista dal momento che hanno sempre dovuto lottare fra due anime, entrambe romantiche e irrequiete. C’è però da dire che la sinistra ha saputo interpretare lo spirito guelfo degli italiani, quest’idea di sentirsi confortati all’interno di una chiesa. Per esempio, il berlusconismo è più una deriva anarchica sia in termini di lavori sia in termini di estetica. Quando poi si tratta di andare a fare le cose sul serio – di andare cioè a dare un imput di sigillo sulle cose – il rutto di sinistra prevale sempre e comunque. Basti pensare a quella che è la sua rappresentazione più efficace: nel modello televisivo è sempre un’anima di sinistra a dettare legge. In Rai c’è il Fabio Fazio è il santo totale di omologazione e conformismo che fa sentire bene le persone, le accomoda e le accoglie."
Quanto ha a che fare la perdita del Sacro con questa crisi di valori?
"Tantissimo. Proprio in questo, la destra fa il lavoro sporco della sinistra. Se quest’ultima lavora sulla propria aspirazione sovversiva, quello che invece sovverte veramente è uno schema egemonico-politico di destra dove il Sacro viene, di volta in volta, sempre più allontanato o circoscritto a una sorta di parodia. Tutte quelle espressioni forti e potenti delle identità culturali vengono – appunto – confinate in una sorta di parodia."
Un esempio?
"L’ultima parodia è stata coniare il termine 'radici giudaico-cristiane', neologismo che né Friedrich Nietzsche né Karl Marx né Hegel né, tanto meno, Tomaso d’Aquino avrebbero mai formulato. Nessuno tra i giganti dell’identità europea l’aveva mai immaginato: l’unica, vera storia che ci riguarda e ci identifica è quella greco-romana. Sia il cattolicesimo sia l’islam si affermano – ognuno nella propria area geografica – grazie al radicamento nella cultura greca."
A fronte di questa grave perdita possiamo parlare di morte della cultura occidentale?
"C’è la morte della spiritualità: è una cosa diversa. In termini commerciali, invece, è tutta vita allegra: gli unici a sorridere sono gli editori e i manager intellettuali. Diverso per quanto riguarda il radicamento spirituale. Se, nel 2009, si mettono mille persone in una chiesa ad ascoltare la predica di Mastro Eckhart non capiscono nulla. Nel XII secolo lo avrebbero capito perfettamente."
La caduta del muro di Berlino, invece, significa per molti la fine di questa egemonia culturale da parte della sinistra. Insomma, un’apertura al nuovo, una sorta di rinascita. Ha davvero questo significato?
"In realtà non credo che l’89 possa dire anche qualcosa all’Occidente. Quella del comunismo è una storia che si è infiltrata nella nostra stessa identità. Non riusciremo mai ad avere la consapevolezza di quello che è stato il comunismo. In questo prevale la straordinaria capacità di mobilitazione intellettuale e culturale del comunismo stesso che è riuscito a sopravvivere alla sua stessa morte transimulandosi nelle coscienze della borghesia occidentale. I 100 milioni di perseguitati in settant’anni di comunismo in Unione sovietica resteranno, nell’eternità, un dettaglio di cui nessuno si dovrà preoccupare. Il fatto che ne stiamo parlando ora sappiamo che cade nel discorso e fra cinque minuti sarà già dimenticata."
Si può quindi parlare di globalizzazione culturale?
"No. Tutto il contrario. Le sorprese dello spirito sono sempre in agguato. Il fatto stesso che gli indiani siano riusciti ad acquistare la Jaguar e la Rover, i due marchi dei loro ex colonizzatori, dimostra che non solo lo spirito soffia dove vuole, ma organizza anche delle sorprese inaspettate.
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