Giuseppe Marino
«La mia unica speranza è che tra 17 anni, se io sarò morta, qualcuno porti avanti il mio lavoro e lo tenga dietro le sbarre». Non una parola di soddisfazione per aver vinto una battaglia lunga quasi due decenni, né una di perdono, solo la ferma volontà di ottenere giustizia nelle parole di Ann Ming. La donna è la madre di Julie Hogg una ragazza che nel 1989 è stata barbaramente uccisa alletà di 22 anni a Billingham, nel nord-est dellInghilterra. Dopo 80 giorni di disperate ricerche, era stata proprio Ann Ming a ritrovare il corpo della figlia, murato dietro un pannello nel bagno della casa dove la ragazza abitava. Dopo il ritrovamento del corpo, la polizia era rapidamente arrivata a Billy Dunlop, oggi 43enne, e laveva arrestato per omicidio. Ma al processo luomo laveva scampata per due volte: due diverse giurie non erano riuscite a raggiungere un verdetto, e Dunlop era stato in rimesso in libertà.
Il colpo di scena degno del miglior legal thriller era arrivato dieci anni dopo, quando luomo aveva confessato il delitto alla polizia, spiegando nei dettagli come aveva strangolato la ragazza e nascosto il cadavere. Unammissione che gli era valsa una pesante condanna per spergiuro (sei anni di carcere) ma non aveva fatto riaprire il processo per omicidio a causa di un antico principio che arriva direttamente dal diritto romano: «ne bis in idem», non si può essere processati due volte per lo stesso reato. Il caso però aveva fatto clamore e risvegliato la determinazione di Ann Ming a cercare giustizia. La donna aveva iniziato una pressante campagna per far cambiare il divieto di essere riprocessati, regola che nel Regno Unito è in vigore da 800 anni ed è nota con il nome di «double jeopardy». La svolta è arrivata nel 2003, quando il parlamento inglese ha riformato la norma ammettendo un secondo processo in caso che emergano nuove ed eclatanti prove. Il nuovo processo a Dunlop, iniziato nello scorso novembre, è diventato così il primo caso di applicazione della riforma. Ieri lepilogo: «Dunlop ha confessato solo perché credeva di non poter essere processato», ha detto il giudice David Calvert-Smith, emettendo una condanna a vita, con un obbligo carcerario minimo di 17 anni.
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