La conoscenza della lingua è integrazione

In un’Italia sempre più multietnica l’immigrazione dovrebbe essere gestita con lungimiranza. Una priorità è la conoscenza della lingua (ma anche delle norme costitutive) da parte di chi ha deciso di vivere e lavorare in un Paese che non è il suo. Il tema riguarda l’Europa intera, ormai sempre più terra d’immigrazione (stando ai dati, 30 milioni entro il 2050).
In Germania, per esempio, gli stranieri che in futuro vorranno fare domanda per ottenere il passaporto tedesco dovranno seguire speciali «corsi di cittadinanza» e sottoporsi a test di lingua tedesca. E alla fine ci sarà un regolare esame con relativo attestato. Lo hanno deciso i ministri dell’Interno dei vari Länder, anche se già da tempo in tutta Europa si stanno moltiplicando iniziative analoghe. Precursori di questa politica migratoria sono i piccoli Paesi Baltici, sempre più caratterizzati da un’economia aggressiva e di libero mercato dopo il crollo dell'Urss.
Durante la dominazione sovietica, milioni di russi, ucraini e bielorussi erano stati incoraggiati da Mosca a trasferirsi in quello che già allora era chiamato l’Occidente sovietico. Oggi i russi in Estonia sono circa il 26 per cento e la convivenza fra le comunità non è sempre idilliaca. Da un paio di anni sono stati richiesti loro dei test linguistici per ottenere la cittadinanza. Molti hanno preferito conservare il vecchio passaporto sovietico o lasciare il Paese, ma chi ha accettato di imparare la lingua non ha potuto che trarne benefici. In Italia in questo senso c’è ancora molto da fare. Esistono un’infinità di corsi e programmi realizzati da volonterosi enti pubblici o grazie a soggetti privati.


Ma i politici più lungimiranti sanno che il vero passo avanti è quello di rendere obbligatorio lo studio della lingua italiana. Per fare questo è necessario attivare delle strutture idonee (insegnanti, scuole e corsi) per un’immigrazione sempre più produttiva, pacifica e integrata. Come dire: a ogni Paese l’immigrazione che si merita.

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