Alla fine ci siamo arrivati, è il paradosso dellecologismo. Ingorghi e atteggiamenti arroganti nel traffico non sono effetto e prerogativa dei soli automobilisti o motociclisti (secondo la sensibilità dei singoli): anche i santificati ciclisti possono causare i primi e assumere i secondi, basta che gliene si dia loccasione. E loccasione gliela danno i Paesi e le città in cui la bicicletta, mezzo ecologico per definizione, ottiene più spazio grazie a politiche di incentivo.
È il caso di Copenaghen, che da tre anni reclamizza se stessa nel mondo con il brillante slogan «I bike Copenaghen» e da decenni promuove in ogni modo luso preferenziale della due ruote senza motore. Una promozione che ha avuto successo, se è vero che, a fronte dellattuale 36 per cento di danesi che ogni giorno usano la bicicletta per andare al lavoro o a scuola, lamministrazione della capitale si prefigge per il 2015 lobiettivo di superare la quota simbolica del 50 per cento. Il che si traduce nel mettere in strada circa 250mila biciclette. E considerato che già oggi a Copenaghen vengono percorsi ogni giorno più di un milione e 300mila chilometri in bicicletta è facile figurarsi un futuribile panorama stile Pechino negli anni di Mao Tse Tung.
Ma qui cominciano i problemi. Copenaghen (e neanche Berlino, e neanche Amsterdam, per citare altre due metropoli europee dove la bicicletta conquista spazi e diritti) non è la Pechino degli anni Sessanta. Qui non ci sono gli immensi viali semivuoti dove è possibile udire il surreale fruscio di migliaia di pedali che ronzano disciplinati allunisono. È una città europea, dove le biciclette circolano sulle apposite piste e devono fare i conti con le auto e con i pedoni. Ma è anche una città dove si lavora (e quindi inevitabilmente si ha fretta) e dove molti ciclisti-ecologisti si sentono investiti di unaura di superiorità. Da qui - lamenta la stessa Federazione ciclistica danese - il frequente mancato rispetto del codice stradale da parte dei pedalatori e un certo irritante sprezzo del pericolo (soprattutto quello corso dagli altri, in questo caso altri ciclisti o pedoni) che potremmo tradurre con un «Ti vengo addosso? Peggio per te».
A Copenaghen, insomma, ci sono troppe bici in giro e troppi maleducati che si sentono autorizzati a esserlo in virtù di un certo spirito del tempo. Lungo le piste ciclabili gli spazi sono intasati, si sta gomito a gomito e proprio come nelle gare la bagarre è inevitabile. Soprattutto, come si diceva allinizio, arroganza e prepotenza si fanno strada (è il caso di dirlo) tra chi pedala esattamente come tra chi guida unauto o una moto. Al punto che ormai nella capitale mondiale delle biciclette cè chi lancia un allarme contro laggressività e lindisciplina di coloro che vengono proposti o immaginati come i più responsabili utenti della strada.
Frits Bredal, della Federazione ciclistica danese, ha spiegato al quotidiano britannico Guardian che non solo i ciclisti locali ma anche molti dei turisti che vengono a Copenaghen attratti dalla sua «pedalabilità» si comportano in modo sconsiderato e non di rado sgradevolmente intimidatorio. Soluzioni del problema? Ampliare la rete delle piste ciclabili, rispondono in molti. Meglio prima fare opera di educazione al rispetto dellaltrui sicurezza, replicano altri ricordando che non tutti gli utenti delle due ruote sono giovani atleti dallo spirito competitivo: ci sono anche tanti anziani, donne magari con bambini piccoli, e perfino (ma chi se li fila più questi ultimi?) individui normali che silludono che usare una bicicletta non significhi necessariamente correre.
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