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La coperta sempre più corta del regime

FRATTURA L’uccisione di alti ufficiali della più temuta milizia di Ahmadinejad mostra una crepa nella sua solidità

Trent’anni e si ricomincia. L’attentato costato la vita ai generali dei pasdaran è un sintomo di disgregazione profonda, una cartina di tornasole tra le cui pieghe s’intravede il crepuscolo degli ayatollah. Per la prima volta a 30 anni dalla rivoluzione khomeinista la Repubblica Islamica si ritrova a temere un colpo di mano capace di abbatterla. L’attentato di ieri segnala ampie smagliature nella rete della sicurezza favorite da quel profondo malessere che dal Belucistan e dalle altre periferie si estende a Teheran e alle città.
Nel Belucistan la minoranza sunnita è da anni il bersaglio di una repressione spietata condotta da pasdaran e sistema giudiziario. Una repressione imposta con arresti sistematici, torture, processi sommari e l’applicazione delle pene capitali comminate dai tribunali rivoluzionari. Nel brodo primordiale di questo «terrore di Stato» germogliano i terroristi Jundollah pronti a immolarsi pur di abbattere un sistema che nega persino le minime garanzie della Costituzione islamica. L’esplosiva situazione del Belucistan si replica nelle province azara e in quelle curde dove già si susseguono rivolte e scontri armati. La furia delle minoranze non è la conseguenza di misteriose trame americane, come ripete il regime, ma delle draconiane politiche imposte dopo l’elezione nel 2005 del presidente Mahmud Ahmadinejad. Da allora molti governatori provinciali sono stati sostituiti da ex ufficiali dei Guardiani della Rivoluzione.
La libertà d’azione concessa agli sbrigativi viceré del «neo integralismo» è all’origine di gran parte delle rivolte. A giugno poi la rabbia delle minoranze si è saldata con quella di Teheran e delle altre grandi città sdegnate per la truffa elettorale e le carneficine di dimostranti. Quel giugno di sangue ha segnato la definitiva frattura tra l’opinione pubblica e una classe di potere sempre più fanatica ed estremista, ma anche sempre più isolata. Oggi la Suprema Guida Ali Khamenei e il temuto figlio Mojthaba, il presidente Ahmadinejad e il suo fanatico consigliere spirituale ayatollah Mohammad Mesbah Yazdi, il capo del Consiglio dei Guardiani ayatollah Ahmad Jannati assieme al capo dei pasdaran generale Mohammad Alì Jafar e a quello dei Basiji Hassan Taeb, sono per gli iraniani una cricca di potere completamente delegittimata. Chi scendeva in piazza per cambiare il regime oggi spera di poterlo spazzar via.
Le divisioni interne al regime sono l’innesco che rischia di far esplodere questa miscela di rivolte locali e cittadine. I «neo integralisti» appoggiati dall’apparato militar-industriale dei pasdaran devono fare i conti non solo con i riformisti e le mosse dell’ex presidente Akbar Rafsanjani, ma anche con conservatori poco inclini alla deriva radicale come il presidente del Parlamento Alì Larijani. La macchina militare dei pasdaran, pur controllando industrie e fonti energetiche, deve far i conti con una truppa di 130mila uomini arruolata con il sistema della leva obbligatoria e pronta fino alle precedenti elezioni a garantire la maggioranza dei voti ai riformisti.

All’ultima tornata elettorale vennero mandati in licenza e i loro documenti, obbligatoriamente depositati in caserma, servirono a costruire la vittoria di Ahmadinejad. Ma in caso di rivolta sarà difficile mandarli in licenza e i loro fucili potrebbero rivoltarsi contro chi oggi li governa.

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