Una cordata di 16 «garibaldini» che non vuol fare licenziamenti

da Milano

Il primo a uscire allo scoperto per la privatizzazione di Alitalia è Paolo Alazraki, finanziere e consulente con un passato di dirigente alla banca Fideuram e di regista di operazioni finanziarie: «Sono un creativo. La prima operazione di stripping (la separazione della cedola dal titolo, ndr) in Italia l’ho fatta io. La privatizzazione della Cassa di risparmio di Pisa l’ho fatta io» racconta, a titolo di esempio. Vent’anni fa aveva attirato l’attenzione dei giornali grazie a un gigantesco presepe di pietra allestito per conto di una sua finanziaria in Piazza Affari, davanti al «tempio» del denaro.
Già a fine dicembre, all’assemblea di Eurofly - alla quale si era presentato con aspetto trascurato, ma intenzioni agguerrite - aveva lasciato trapelare la sua volontà di correre per l’ex compagnia di bandiera. In quella sede aveva attaccato il presidente dell’assemblea, Sandro Capotosti, accusando la società di non aver preso in considerazione la sua proposta d’acquisto che, prevedendo un’Opa, sarebbe andata incontro all’interesse di tutti gli azionisti (ricordiamo che Meridiana ha acquistato il 29,9%). Risposta di Capotosti: la lettera è stata indirizzata al destinatario sbagliato. Replica di Alazraki: ricorrerò alla Consob.
È tempo, dunque, che Alazraki pensa all’Alitalia. Dice di aver già pronto un «master plan» e di volerlo esaminare assieme ai sindacati; solo nel caso di un’intesa preliminare con questi, formalizzerà una manifestazione d’interesse a Merrill Lynch. «Il nostro piano è basato sullo sviluppo senza licenziamenti. Sappiamo che ci sono esuberi, ma vogliamo assorbirli con l’espansione. Occorrono 3 miliardi di euro per rinnovare la flotta, rendere efficiente la rete, puntare sulla clientela business. Il risanamento potrà avvenire in 24 mesi». Quali sono le difficoltà? «Tutte. Alitalia ha problemi politici, aziendali, manageriali, finanziari, è un colabrodo di sprechi. Se non fosse una società pubblica sarebbe fallita da un pezzo. Se fossimo negli Stati Uniti sarebbe in Chapter 11 da due anni».
Chi appartiene alla sua cordata? «Siamo in sedici “garibaldini”: imprenditori, banche, finanziarie, sindacalisti, manager aeroportuali. I nomi li dirò ai sindacati». Anche compagnie aeree? «Compagnie no».

Era lei il cliente al quale lo studio Carnelutti ha rinunciato? «Sì». E perché ha rinunciato? «Lo chieda a loro. Ma le sembra serio che uno studio legale scriva 27 lettere ai sindacati per chiedere un incontro e poi se ne lavi le mani?».

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