Corte d'inchiesta: Diana morì a causa dell'autista

La giuria dell’inchiesta pubblica sulla morte di Lady Diana ha concluso che l’incidente fatale fu causato dalla guida "negligente" dell'autista e dai paparazzi che inseguivano la Mercedes. Guarda le immagini

Corte d'inchiesta: Diana 
morì a causa dell'autista

Londra - Colpa dell’autista alticcio alla guida ma anche dei paparazzi al forsennato inseguimento se Diana e il suo ultimo accompagnatore Dodi persero la vita a Parigi il 31 agosto 1997 quando la loro grossa Mercedes andò a schiantarsi sotto il ponte dell’Alma. L’inchiesta pubblica sulla morte della principessa, costata al contribuente britannico più di 13 milioni di euro, si è conclusa oggi pomeriggio a Londra con questa sentenza che a sorpresa rimette alla gogna i fotoreporter.

Dopo sei mesi di udienze e quattro giorni di camera di consiglio le sei donne e i cinque uomini della giuria popolare si sono fatti la convinzione che Henry Paul - lo chaffeur della Mercedes - non è l’unico colpevole: è vero, quella sera aveva alzato il gomito e guidava ad una velocità doppia rispetto al massimo consentito su quel tratto di strada ma i paparazzi alle sue costole gli impedirono ogni «libertà di movimento» guidando in modo scellerato dietro di lui, chi in moto e chi in macchina. La sentenza è destinata a far discutere: indicati in un primissimo tempo come i responsabili della tragedia, i fotoreporter sono stati alla fine assolti dall’inchiesta francese e finora non erano stati messi in croce nemmeno nel Regno Unito. Adesso eccoli tacciati ufficialmente di «omicidio colposo in seguito a guida pericolosa».

Sembra aver avuto un ruolo molto controproducente il fatto che con un’unica eccezione si sono rifiutati di venire a Londra e farsi interrogare per l’inchiesta pubblica dell’Alta Corte. Nella sentenza, presa a maggioranza (soltanto nove su undici l’hanno sottoscritta), la giuria popolare non manca ad ogni modo di sottolineare che Diana e Dodi persero quella notte la vita perchè a differenza della guardia del corpo Trevor Rees-Jones (unico superstite a bordo della Mercedes) non indossavano la cintura di sicurezza. Durante i sei mesi dell’udienza, che hanno visto sfilare come testimoni 278 persone, Mohammed al Fayed - padre di Dodi e proprietario dei grandi magazzini Harrods di Londra - ha tentato invano di far breccia con la dirompente tesi che suo figlio e Diana persero la vita in un incidente stradale orchestrato dai servizi segreti di Sua Maestà su ordine del principe Filippo. Dando alla giuria le istruzioni su come procedere il giudice messo a capo dell’inchiesta pubblica - Scott Baker - ha escluso in modo categorico l’ipotesi del complotto: «Non c’è la minima prova a supporto delle illazioni di Mister Al Fayed», aveva tagliato corto il 31 marzo. E in effetti alle udienze non è emersa alcuna «pistola fumante» a supporto delle roventi accuse di Al Fayed, secondo cui la principessa era incinta di Dodi e fu eliminata perchè non si voleva che sposasse un musulmano e mettesse al mondo un fratellastro scomodo per il futuro re William.

Scartata a priori la teoria della congiura ordita dal principe Filippo e dai servizi segreti, il giudice Scott Baker aveva chiesto alla giuria popolare di scegliere in una rosa di cinque possibili verdetti: 1) omicidio provocato dal comportamento «estremamente negligente» dei paparazzi all’inseguimento.

2) omicidio provocato dal comportamento «estremamente negligente» dello chauffeur della Mercedes. 3) omicidio provocato dal comportamento «estremamente negligente» dei paparazzi e dello chauffeur. 4) morte accidentale. 5) impossibilità di un verdetto per mancanza di prove.

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