«Una corte nazionale non giudichi uno Stato»

«Una corte nazionale non giudichi uno Stato»

La sfida, in punta di diritto che si è svolta all’Aja tra Italia (spalleggiata dalla Grecia) e Germania resterà come pietra miliare nella giurisprudenza internazionale. La sentenza appena emessa dalla Corte internazionale infatti non dà solo torto a un Paese, l’Italia, e ragione a un altro, la Germania, ma stabilisce un principio giuridico ben preciso.
In soldoni. Esistono dei diritti universali dell’uomo la cui violazione si configura come un crimine. Su questo la Corte non ha nulla da eccepire. Però esiste anche quella che viene definita «immunità costituzionale» e che stabilisce quali temi possono essere regolati dal diritto interno ai singoli Stati e quali sono di competenza del diritto internazionale. In generale questo principio dell’immunità sancisce che un tribunale nazionale non abbia giurisdizione per giudicare un altro Stato. La questione infatti tocca il tema, sempre difficile da gestire, della sovranità. Dovendo mediare tra le due istanze il tribunale dell’Aja ha optato per un’interpretazione estensiva dell’immunità. La cassazione italiana invece aveva, con sentenza del 21 ottobre 2008, riconosciuto la Germania responsabile per essere stata il «mandante» dei militari nazisti che - il 29 giugno del 1944 - uccisero 203 abitanti di Civitella, Cornia e San Pancrazio, sparando un colpo alla nuca di donne, bambini, uomini e vecchi. Stabilendo che per crimini di questo tipo l’immunità avesse un valore «limitato».
Insomma considerando nulle le sentenze italiane il tribunale dell’Onu ha preferito tutelare più il concetto di sovranità, e il valore dei precedenti accordi bilaterali del 2 giugno 1961, rispetto al diritto di ricorso dei parenti delle vittime. La corte ha sostanzialmente ordinato all’Italia, come richiesto da Berlino, di «prendere tutte le misure necessarie affinché le decisioni della giustizia italiana che contravvengono alla sua immunità siano prive di effetto e che i suoi tribunali non pronunzino più sentenze su simili casi». Per usare le parole di uno degli avvocati italiani Roberto Alboni: «Ha prevalso la realpolitik sui diritti dell’uomo, così si chiude la possibilità di ricorsi individuali. Privilegiando l’immunità». Il suo giudizio, che potrebbe essere condiviso anche da altri giuristi, è amaro. Dice al Giornale: «Il rispetto dei diritti dell’uomo così è andato indietro di cento anni... ».
La corte però ha contestato la legittimità dei procedimenti, non il principio: il disposto, infatti, invita Italia e Germania a trovare un accordo su un indennizzo che non sia soltanto simbolico. Né interviene sul merito delle sentenze italiane relativamente alle responsabilità tedesche per gli eccidi. Insomma i tribunali italiani non erano legittimanti a procedere contro la Germania, ma nessuno dice che la loro ricostruzione di fatti e responsabilità sia errata.

Ecco, allora si può almeno sperare che per via diplomatica si riesca ad ottenere quello che non si può ottenere in aula. Però bisogna essere capaci di spingere un po’ se no si torna ai tempi in cui Italia era solo un’espressione geografica...

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