Controcultura

Così Bernardino Mei osò con la "Prudenza"

L'apparizione dell'opera nel catalogo della casa d'aste Wannenes pone l'artista fra i grandi del '600

Così Bernardino Mei osò con la "Prudenza"

In un catalogo come al solito provocante con valutazioni molto basse e dipinti di varia qualità, la casa d'asta Wannenes di Genova, la cui fama e credibilità si sono consolidate negli ultimi anni, ha pubblicato una Allegoria della Prudenza di ignoto pittore del XVII secolo. Un olio su tela di cm 81x90. La presentazione appare preoccupata più di riconoscere il soggetto che la scuola del pittore, che resta indefinita. Nella scheda leggiamo: «L'immagine, rappresentante una giovane donna con uno specchio, sembrerebbe alludere ad una Vanitas. Tuttavia, la presenza di un serpente che simboleggia la cautela, permette di riconoscere la raffigurazione della Prudenza. Lo specchio è quindi simbolo della avvedutezza e della conoscenza di sé, doti che ogni buon cristiano deve possedere per sottrarsi agli inganni del male. Nel nostro caso, sorprende la licenza di rappresentare in maniera così discinta e terrena una delle Virtù Cardinali, suggerendo di conseguenza la sua pertinenza a una collezione privata. Lo stile e gli esiti illustrativi manifestano tutta la loro espressività barocca, indicando una genesi romana e una datazione alla fine del XVII secolo. Si può altresì affermare che la qualità d'esecuzione è molto alta e percepibile anche a discapito dell'imbrunimento della vernice e della sporcizia».

La timida proposta, nel riferire il dipinto all'ambito romano, è generica, ma non del tutto priva di fondamento, come d'altra parte suggerisce la provenienza dalla grande famiglia Cavalcabò, di ceppo cremonese ma con un ramo marchigiano connesso allo Stato pontificio. Il taglio e la forza prorompente della figura sembravano inizialmente indicare un orientamento verso Artemisia Gentileschi ma, a una più attenta analisi, la robustezza e la densità dell'impianto suggeriscono di orientarsi verso Siena, nella direzione di Bernardino Mei, per l'evidente affinità con le Allegorie della Fede e della Speranza della collezione Chigi Seracini, datate 1656; e con la potente Santa Caterina di Alessandria di collezione privata.

A Siena Mei dovette formarsi, in un rapporto di collaborazione o di apprendistato, con Rutilio Manetti, a fianco del figlio di questi, Domenico. Ritmi e forme complesse, vorticoso movimento e grande forza espressiva caratterizzano le sue opere, partendo dalla lezione caravaggesca del maestro. Più tardi Mei rischiarerà le forme in una luce argentea forse in dialogo con Raffaele Vanni. La Natività della Vergine, firmata e datata 1641 (Serre di Rapolano, pieve di San Lorenzo), Le visioni del beato Bernardo Tolomei (abbazia di Monte Oliveto Maggiore), e altre opere note, come lo straordinario dipinto con i Santi Cosma e Damiano (firmato e datato 1644, proveniente dalla collezione Del Taia, ora in collezione privata) e il San Girolamo (firmato e datato 1646, nella Pinacoteca nazionale di Siena) mandano luce sull'attività degli anni Quaranta, consentendo di colmare il silenzio delle fonti e di riconoscere la piena maturazione artistica del decennio successivo. In particolare nei Santi Cosma e Damiano si apprezza la fedeltà della descrizione, indagatrice e veristica.

A partire da qui, la personalità di Mei appare più risentita e originale. Nella Decollazione del Battista di San Giovanni Battista in Pantaneto, concepita tra il 1646 e il 1648, il naturalismo degli esordi è spinto alle estreme conseguenze, in una evidenza che sottolinea il contrasto chiaroscurale, con una drammaticità nuova, ispirata al modello teatrale di Mattia Preti, attivo in quegli anni a Siena. È la stessa tensione narrativa che si esprime nel Giudizio di Salomone e nella Betsabea (entrambi nella collezione Chigi Saracini, databili ai primi anni Cinquanta), esempi notevoli di questa fase del Mei, in cui si perfeziona l'incidenza della luce che cade, dorata e con esatto calcolo, sulle figure tornite, fondendosi con una pittura morbida e dai toni cromatici brillanti, freddi, su cui risalta il blu cobalto.

Tra le opere capitali, e incredibilmente originali, il Ciarlatano risulta nelle raccolte medicee già nel 1652: è un'opera paradossale, il cui realismo vira verso il grottesco con una forza espressiva senza precedenti. La tela, che si trovava nella residenza del governatore di Siena Mattias de' Medici a Lappeggi, passata nella collezione Gerini agli inizi del secolo XVIII, è ai vertici della produzione del pittore, e introduce alle opere del sesto decennio. È questa la stagione più felice della vicenda artistica del Mei che entra in contatto con la pittura barocca romana e con la scultura del Bernini. La pittura del Mei, in sintonia con Pier Francesco Mola, si fa ora più calda e densa, con colori più accesi. La materia è ricca e luminosa, definendo figure monumentali all'interno di composizioni complesse, in parallelo con il dinamismo dei gruppi di Gian Lorenzo Bernini. Mei persegue il pathos, i turbamenti, le passioni: sono quadri da stanza, citati negli inventari delle nobili famiglie senesi, come le pitture del ciclo per palazzo Ugurgieri a Siena (ora Siena, collezione del Monte dei Paschi), al quale partecipano anche Raffaello Vanni e Domenico Manetti.

In questo momento si pone la nuova Allegoria della Prudenza, con la figura potente e risoluta, con una monumentalità statuaria, come nelle allegorie della Fede e della Speranza che facevano serie con la Giustizia, siglata e datata 1656 (in collezione privata), in pendant con l'Ingiustizia, firmata (Siena, Pinacoteca nazionale), provenienti dalla collezione Del Taia a Siena, e con la Fede cattolica, già in collezione Cibrario a Torino, firmata e datata 1652. Tra le opere a singola figura, in cui l'individuazione ritrattistica è caricata dall'espressione di sentimenti incontenibili, sono le due tele con San Giovanni Evangelista e con Ghismunda ( Siena, Pinacoteca nazionale). Ancora a Siena Mei dipinge la pala per la chiesa di San Tommaso a Valdipugna con la Madonna con Bambino in gloria tra santi (firmata e datata 1653), la pala di Asciano con la Crocifissione per la Confraternita di Santa Croce, il Santo Stefano per l'oratorio di Santo Stefano ai Pispini, ora in Sant'Agostino a Siena, commissionato nel 1654, e l'Assunta e beati (Siena, Pinacoteca nazionale), firmata e datata 1656.

Il definitivo trasferimento a Roma del pittore coincide con l'ascesa al soglio pontificio di Fabio Chigi, con il nome di Alessandro VII. Da questo momento si ha notizia di una ininterrotta attività per i Chigi, nella quale inizialmente fu determinante la mediazione di monsignor Volunio Bandinelli, nominato poi cardinale. Questi fu consigliere del Papa per le scelte artistiche, come si legge nel diario di Alessandro VII, in cui il Mei è ricordato fra il 1658 e il 1659, per le opere che avrebbe eseguito o dovuto realizzare. Ecco allora la Sacra Famiglia (1659) per la chiesa di Santa Maria del Popolo che, secondo il diario del papa Alessandro VII, fu sottoposta anche al giudizio del Bernini, responsabile della ristrutturazione della chiesa, per essere in «bel composto» con la policroma struttura architettonica dell'altare berniniano e con le candide statue dei due angeli che incorniciano la tela. Allo stesso anno risalgono anche le due opere per Santa Maria della Pace con San Giovanni Battista che rimprovera Erode ed Erodiade e San Giovanni Battista condotto al supplizio, e la copiosa Allegoria dell'Inverno (Ariccia, palazzo Chigi), dipinta per Flavio Chigi in collaborazione con Mario de' Fiori, per la natura morta. Nel 1657 il Mei fu eletto membro dell'Accademia di San Luca. La sua maggiore impresa romana sono le tele (perdute) per il salone delle Udienze del palazzo Chigi ai Santi Apostoli, la residenza del cardinale Flavio, concepite per l'intervento del Bernini. Le opere, nove in totale, di grandi dimensioni, furono trasferite dopo la morte del cardinale Flavio, nel 1693, al passaggio del palazzo alla famiglia Odescalchi. Il Mei dipinse per i Chigi anche la pala con Sant'Agostino che medita sulla Trinità per la collegiata di Santa Maria Assunta ad Ariccia, nel 1665.

Nonostante gli impegni romani il Mei continuò a lavorare per la città di origine. Nel San Giovanni Battista che rimprovera Erode (Siena, chiesa di San Giovanni Battista in Pantaneto) sono evidenti i rapporti con le tendenze del secondo classicismo romano; e così nella Nascita, circoncisione e imposizione del nome del Battista per l'oratorio di San Giovanni Battista o dei Tredicini, firmata e datata 1675, ultima opera conosciuta del pittore.

Il Mei morì a Roma nel 1676.

Dopo l'apparizione della Allegoria della Prudenza, Mei entra fra i grandi pittori del Seicento, riabilitati dopo un troppo lungo oblio.

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