Politica

«Così fecero cambiare idea a Randazzo»

da Milano

Pietro Pilello è amico da una vita dell’ormai ex direttore di Raifiction Agostino Saccà. Ed è l’uomo che ha portato a casa di Silvio Berlusconi il senatore Nino Randazzo, eletto nella circoscrizione Asia, Africa Oceania nelle fila dell’Unione, e al centro di un’indagine della procura di Napoli sulla cosiddetta compravendita dei voti in Senato. Ma Pilello, commercialista calabrese, un passato nella massoneria, non vuole recitare la parte del capro espiatorio: «Scavino pure - dice al Giornale nella prima intervista concessa da quando è sotto i riflettori -, io non ho niente da nascondere».
Cominciamo dall’incontro a Palazzo Grazioli. Per i magistrati quella fu corruzione.
«Ma no. Le cose non sono andate come le ha raccontate ai giornali Randazzo».
Lei avrebbe cercato di comprare il senatore.
«È falso. Questa estate, parlando con un mio parente italo-australiano, ho appreso che Randazzo aveva rilasciato alla radio di lingua italiana un’intervista assai polemica con il governo».
Dunque ha drizzato le antenne?
«Sì. Il quadro politico era ed è quello che è. Ho qualche anno di esperienza politica alle spalle, in Fi, dunque ho cercato di verificare il grado di insoddisfazione».
Come si è mosso?
«Randazzo si lamentava: la legge sulla doppia cittadinanza degli emigrati - suo cavallo di battaglia - non faceva progressi nell’iter parlamentare. Gli ho chiesto un appuntamento».
E lui gliel’ha concesso?
«Subito. Al Senato. Solo che lui si è messo a parlare di un’altra cosa».
Che cosa?
«La riforma dei collegi exraterritoriali, abbozzata da un deputato di Fi. Una proposta che lui non gradiva. Nel salutarmi mi ha dato il suo portatile».
Lei l’ha chiamato?
«Salito sul taxi ho composto il numero. E gli ho detto quello che lì, davanti a un’altra persona, non gli avevo nemmeno accennato: non avrei avuto difficoltà a fargli incontrare Berlusconi».
Randazzo come ha reagito?
«Ha manifestato interesse, ma mi ha chiesto qualche giorno per valutare la possibilità».
Andiamo avanti.
«Finalmente mi ha dato il suo assenso, chiedendomi solo la massima discrezione».
Così l’ha accompagnato a Palazzo Grazioli?
«Esatto. La mattina del 1° novembre. Abbiamo fatto colazione con il Cavaliere che ci ha offerto almeno 10 tipi di yogurt».
Yogurt a parte, com’è stata la conversazione?
«Interessantissima».
Berlusconi non ha cercato di «addomesticare» Randazzo?
«Ma no. Hanno parlato dell’Australia. Randazzo spiegava che è una zattera: in viaggio verso la Cina. Berlusconi era informatissimo. Tutti e due sottolineavano l’importanza che l’Italia potrebbe avere per il futuro del Paese».
La legge sui collegi?
«Appena sfiorata».
Ma si è discusso o no del cambio di casacca?
«Berlusconi descriveva il clima di degrado in cui si muove il governo e Randazzo sovente assentiva. Quando siamo usciti, Randazzo era molto soddisfatto e mi pare che il suo problema non fosse il passaggio dal centrosinistra al centrodestra ma il modo in cui comunicarlo».
Lei cosa gli ha suggerito?
«L’ho incoraggiato: “Lei è un giornalista, un artista della comunicazione. E troverà il modo”».
Alla fine come siete rimasti?
«Randazzo ha chiesto sette giorni per riflettere».
Poi?
«Al settimo ne ha chiesti altri tre. Al terzo ha inviato la lettera ai giornali in cui tuonava contro il Cavaliere e mi ha telefonato. Era irriconoscibile».
Perché?
«Pareva avesse qualcuno al suo fianco. Diceva di non voler aderire all’opportunità prospettata, che ne andava della sua dignità. Francamente sono rimasto sbalordito: col Cavaliere aveva parlato solo di politica e della sua rielezione. Infine ho capito».
Che cosa?
«Qualche giorno prima, con la Finanziaria incombente, era stato ascoltato dai pm di Napoli».
Lei è indagato anche nell’altro filone, quello del progetto Pegasus di Saccà.
«Era solo un vago abbozzo».
Ma Berlusconi era fra i finanziatori del progetto?
«A me non risulta. Del progetto abbiamo parlato con Saccà in innumerevoli conversazioni telefoniche, ma mai di Berlusconi quale finanziatore».
Lei avrà ascoltato quelle intercettazioni, ormai note.
«Non capisco neanch’io di cosa dovrei rispondere. Ho solo elaborato un progetto di fattibilità. Vedo che alcuni giornali hanno rispolverato, per buttarmi fango addosso, la vecchia inchiesta sulla massoneria deviata di Agostino Cordova. Ricordo che la Procura di Palmi mi tenne sotto inchiesta per tre anni perché ero il gancio tecnico per tenere il fascicolo a Palmi. Tre anni alla caccia spasmodica di un qualche elemento contro di me, ma senza trovare nulla. Pensi che i pm avevano chiesto subito l’archiviazione, ma Cordova la tenne nel cassetto a lungo. Poi, finalmente l’inchiesta finì in nulla. Ora i pm di Napoli hanno chiesto il processo per gli altri indagati, ma non per me.

Spero di uscire di scena al più presto».

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