Così i grandi egoisti si mettono in mostra

L’egocentrismo contemporaneo rappresentato da quindici artisti provenienti da tutte le parti del mondo

Non è immediato cogliere che cosa accomuni un allestimento hippy, un enorme candelabro, cinque sculture di cani rabbiosi, due dipinti ipnotici a cerchi concentrici, diversi omuncoli di pochi centimetri. Eppure è questo ciò che il visitatore incontra a Modena, nella doppia sede della Galleria civica a Palazzo Santa Margherita e nell’ariosa palazzina dei Giardini: quindici artisti eterogenei per età, formazione e provenienza geografica chiamati a raccolta da Milovan Farronato e Angela Vettese. È il titolo della collettiva, «Egomania» (fino al 2 maggio, catalogo Silvana editoriale), a offrire la chiave di interpretazione a un’esposizione insolita e che non ha mancato di sollevare qualche critica nei giorni dell’inaugurazione (per un video un po’ osé). Conviene dunque lasciarsi guidare dal tema e visitare in ordine sparso le diverse sale dell’esposizione che ha il suo punto di forza nell’installazione della tedesca Katharina Fritsch che si è immaginata un candelabro nero a forma di svastica. Come a dire: l’egocentrismo declinato al parossismo conduce alla negazione morale e alla morte. A fianco, giganteggiano due conigli di bronzo, squartati come si usava fare nelle fiere di paese. L’idea è dell’inglese Marc Quinn, non nuovo alle provocazioni considerato che ha firmato la grande statua che oggi troneggia a Trafalgar Square e che ritrae nuda la sua amica Alison Lipper: lo «scandalo» - chi vuole saperne di più si legga l’autobiografia della Lapper La vita in pugno (Corbaccio) - è che questa giovane donna è focomelica e al momento del ritratto era incinta.
Competono per potenza espressiva con i conigli di Quinn, i cani in metallo creati da Liliana Moro: cinque sculture che rappresentano la rabbia e l’aggressività di chi, talmente egocentrico, finisce per punire se stesso. Non è Liliana Moro l’unica artista italiana presente alla mostra modenese: spicca il lavoro del giovane Roberto Cuoghi (che gioca in casa, anche se da qualche tempo opera a Milano). I suoi disegni sull’egocentrismo nascono da un’esperienza personale: nel ’97 l’artista ha indossato per diversi giorni degli occhiali su cui aveva installato i prismi di Pechan, lenti che limitano la visione a una prospettiva di soli 20 gradi e la ribaltano a specchio. I ritratti sono il frutto di quelle giornate: l’egoista (l’artista) se non ama il mondo che lo circonda, lo stravolge. Dalla vicina Svizzera giungono i dipinti di Ugo Rondinone dai colori accesi e forme concentriche: il suo egoismo coinvolge, quasi ipnotizza, il visitatore. Arrivano invece dalla Corea, i piccoli omini scolpiti con cura dalla mano di Dongwook Lee, un’opera che pare l’antidoto (o il contrappasso) all’egocentrismo.


Di un ampio spazio è stato omaggiato l’inglese Marc Camille Chiamowicz, che qui ripropone un allestimento eseguito a Londra negli anni Settanta: alla sua camera-rifugio, preferiamo il più originale lavoro della svedese Anneé Olofsson che gioca con carte da parati floreali. Nell’ossessione per l’ordine, la decorazione, la ricerca di una casa rassicurante e familiare c’è molto del conformismo contemporaneo. L'altra faccia dell’egoismo.

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