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Così i vasi andini hanno trovato il «posto fisso»

Nel Museo preistorico etnografico Luigi Pigorini si è aperto lo spazio espositivo dedicato al «Mondo Andino». Raffinati oggetti provenienti dai depositi del museo, consistenti per lo più in ceramiche, tessuti, sculture in pietra, strumenti metallici e ornamenti, ripercorrono la lunga storia archeologica delle Ande centrali, soprattutto del Perù. Quando si parla di questo Paese, si pensa immediatamente agli Inca, la cui civiltà era ancora fiorente al tempo della conquista spagnola da parte di Pizarro, ma prima di loro la zona vide, a partire dal 1000 a.C., una serie di società contraddistinte da un sapiente adeguamento all’ambiente, da credenze religiose complesse e da una tecnologia progredita. Dalla più antica cultura Chavìn si passò a quelle dei popoli costieri (Moche, Paracas, Nasca), a quella Tihuanacu, il cui centro era posto sulle rive del lago Titicaca, quindi ai Chimù della costa settentrionale per arrivare appunto agli Inca che, intorno agli inizi del 1500, unificarono politicamente un’area che andava dagli estremi confini settentrionali dell'odierno Ecuador all’Argentina nord occidentale e al Cile centrale. La forma d’arte più diffusa nell’antico Perù, insieme con il tessuto, è la ceramica rituale. I vasi dei Moche sono di tipo scultoreo, ispirati per lo più al loro complesso mondo religioso, ma anche a scene e personaggi tratti dalla vita quotidiana.

I Nasca, invece, sono attratti dalla policromia: i loro vasi, hanno superfici interamente decorate come fossero un tessuto. Una vetrina opportunamente climatizzata, posta al centro della sala, illustra il culto dei morti, attraverso la ricostruzione di due tombe di bambini, con il loro corredo funebre.

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